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Faranno il Deserto e lo chiameranno Pace

Saremo ancora in grado di volare e rendere libere le nostre anime? L'anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando le sei vicino.

ASSOCIAZIONE DI MEDICI SVEDESI: “ATTACCO CHIMICO IN SIRIA E’ UNA FAKE NEWS”

#Syria #sarin #Idlib #USA #Trump #WhiteHelmets #ArmiChimiche

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Il presidente Trump sta ora minacciando di trascinare gli USA in una guerra contro la Siria, l’Iran e persino la Russia. Guerra che dice essere giustificata da “prove innegabili” ricevute dai Caschi Bianchi. Mostreremo senza ombra di dubbio che i Caschi Bianchi sono un gruppo istituito dallo “Stato Deviato”, una mescolanza di CIA, Al-Qaeda e servizi segreti inglesi. Abbiamo ora la prova inconfutabile che Trump e quella fucina di notizie false che è MSN sono stati sempre obbedienti ai poteri forti, ingannandoci.

Mentre stava preparando l’ignobile lavoro propagandistico che gli ha fatto vincere l’Oscar, l’attore George Clooney sapeva benissimo che l’organizzazione “Medici svedesi per i Diritti Umani” (SWEDHR) aveva indicato nei Caschi Bianchi degli infanticidi. SWEDHR è un’organizzazione attendibilissima, i suoi lavori sono autorevoli, per cui il fatto che questa organizzazione avesse indicato nei Caschi Bianchi degli assassini di bambini per la preparazione di falsi video di propaganda avrebbe dovuto essere preso in considerazione da Clooney e da Netflix. Nonostante questo, i signori hanno deciso di proseguire con il loro documentario. Perché?

Anche Google ha le sue responsabilità, poiché è colpevole di oscurare nei suoi motori di ricerca le conclusioni dello SWEDHR e di organizzazioni affini.
Riporto quindi ora fatti che gli statunitensi leggeranno per la prima volta.
Ricordate che le prove che intaccano il buon nome dei Caschi Bianchi, che riteniamo essere parte delle operazioni propagandistiche di Al Qaeda, non sono mai state prese in considerazione né dalla Casa Bianca né dai mezzi di informazione occidentali. Né si è mai parlato dei numerosissimi e comprovatissimi attacchi chimici sferrati da FSA, ISIS e Al Nusra e subito dimenticati come per magia.

I Caschi Bianchi, ufficialmente una NGO autonoma, hanno ricevuto sino a 100 milioni di dollari dai “fondi occulti” della CIA e del Dipartimento degli Affari Esteri inglese. Uccidere i bambini è il loro cavallo di battaglia, come mostreremo. Condividendo il proprio quartier generale con i servizi segreti turchi a Gaziantep, questa organizzazione è composta in realtà da squadroni della morte, non certo da gruppi di difesa civile.


BAMBINI ASSASSINATI PER VIDEO DI PROPAGANDA

I Dottori Svedesi per i Diritti Umani (swedhr.org) hanno analizzato un video dove viene filmata un’operazione per salvare un bambino dopo il supposto attacco chimico delle forze governative siriane. I dottori hanno constatato che nel video sono chiaramente presenti delle falsificazioni, dal momento che in sottofondo si sentono delle autentiche indicazioni “di regia” in arabo, e che la cosiddetta “operazione” è in realtà un omicidio. Un’analisi superficiale del video sembrerebbe infatti suggerire che i medici stessero cercando di rianimare un bambino che era ormai clinicamente morto

In realtà, dopo un più attento esame, il gruppo di swedhr ha accertato che il bambino aveva perso coscienza a causa di un’overdose di oppiacei. Nel video si vede il bambino che riceve un’iniezione al petto, nel settore cardiaco, iniezione che alla fine lo hanno ucciso, mentre gli veniva data una falsa dose di adrenalina.
Si è trattato di un omicidio.
I medici svedesi hanno concluso nella loro analisi:

  • il video sembrerebbe filmare delle misure di rianimazione dopo un attacco chimico al gas clorino (ora si sostiene sia stato Sarin, ma è impossibile). Le misure includevano anche un’iniezione di adrenalina tramite un lungo ago, introdotto direttamente nel petto del bambino. La procedura seguita è assolutamente scorretta per eliminare le conseguenze di agenti chimici
  • Il trattamento e le cure impartiti al bambino sono stati incauti, pericolosi e con tutta probabilità hanno arrecato alla salute del piccolo gravi danni.
  • Assolutamente rivelatrici della natura criminale del video sono le molteplici somministrazioni di dosi di adrenalina, sembrerebbe direttamente al cuore. Il personale medico (ma io credo lo si possa chiamare in tutta tranquillità un gruppo di attori) non è in grado di spingere lo stantuffo in maniera adeguata per cui, come si può vedere dal video stesso, il contenuto della siringa non è mai stato iniettato.
  • La diagnosi fatta da un gruppo di reali medici, basata su quanto è possibile vedere dal video, indica in tutta evidenza che il bambino aveva chiari sintomi di un’overdose da oppiacei e che ne stava morendo. Non c’è alcuna evidenza di intossicazione da agenti chimici.
  • Nessuno dei bambini comparsi nei video dei Caschi Bianchi mostra di essere stato vittima di attacchi chimici. Da un video precedente diffuso dai Caschi Bianchi:
      E’ evidente che nel video in questione è stata la falsa iniezione con l’ago conficcato attraverso i punti di sutura direttamente nel cuore ad aver ucciso il bambino. Si è trattato di un infanticidio mascherato da trattamento medico.

 

    Dietro una traduzione falsata si sentono, in arabo, delle autentiche indicazioni da regia su come sistemare il bambino, non si sentono certo delle indicazioni di carattere medico.

  • I video sono stati postati nel canale gestito dai Caschi Bianchi “Syrian civil Defense in Idlib Province”. I video sono stati prodotti dai Caschi Bianchi in collaborazione con l’organizzazione “Coordinating Sarmin”, il cui stemma è una bandiera nera jihadista (Al-Qaeda). Nel video si vedono anche dei caschi bianchi.

 

Il professore Marcello Ferrada De Noli, presidente del Swedhr, ha pubblicato all’inizio di marzo di quest’anno un primo articolo con un’analisi del caso. Il titolo dell’articolo è: “I Medici svedesi per i Diritti Umani: il video dei Caschi Bianchi, una macabra manipolazione di bambini morti ed una falsificazione di attacchi chimici per giustificare una ‘No-fly Zone’ in Siria”.
Questa analisi è stata poi, in un altro articolo, seguita da scoperte ancora più agghiaccianti fatte in video inizialmente non esaminati. L’articolo in questione è: “Il film sui Caschi Bianchi: osservazioni aggiornate dei medici svedesi confermano che ai bambini viene data una falsa assistenza medica dagli esiti letali”.

Le scoperte congiunte dei medici svedesi in relazione alla propaganda e alle falsità diffuse da Al-Qaeda in Siria confermano le conclusioni degli scienziati tedeschi e di altre nazioni riguardo ai crimini commessi da Al-Nusra in Siria.

 

De Noli è il fondatore e il presidente dello Swedhr, un’organizzazione non governativa composta da un gruppo di professori e medici attivi nel settore sanitario, il cui scopo è analizzare e riferire all’opinione pubblica le atrocità commesse ai danni dei civili, i casi di tortura dei prigionieri di guerra e di infrazioni dei diritti umani.

L’organizzazione svolge la sua attività principalmente nei seguenti casi: crimini di guerra ai danni della popolazione civile documentati sul territorio, infrazioni governamentali dei diritti umani, casi individuali di dottori soggetti a violazioni dei diritti umani ed analisi degli effetti della tortura sui prigionieri di guerra.

La prima commissione eletta dello SWEDHR era composta da Leif Elinder, Marcello Ferrada De Noli (presidente), Martin Gelin, Alberto Gutierrez, OveB. Johansson, Lena Oske, Armando Popa, Anders Romelsjo (vice-presidente), Marita Troye-Blomberg e Luz Varela. Nel 2015 Ferrada ha fondato, insieme ad un gruppo di accademici ed editori europei, la rivista on-line (The Indicter), dopo essere stato eletto editore-capo.

 

(Fonte: Veteranstoday – traduzione di Claudio Napoli)

Pubblicato il 10 Aprile 2017 da oltrelalinea

 

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Addendum delle Admin … for remember!

CHI SONO (DAVVERO) GLI ELMETTI BIANCHI?: http://www.occhidellaguerra.it/chi-sono-davvero-gli-elmetti-bianchi/

ELMETTI BIANCHI: AL QAEDA COL LIFTING AMERICANO:

 

10 Aprile 2017 – Faranno il Deserto e lo chiameranno Pace

L’ANELLO MANCANTE (Siria, gli USA attaccano nella notte con decine di missili. Colpita la presunta base del raid chimico)

#Syria #sarin #Idlib #USA #Russia #missili

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NdA: Non lo diciamo noi, ma una “penna eccellente” … Pepe Escobar!

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DI PEPE ESCOBAR – Da facebook.com

 

Gli  S-400 russi posizionati in Siria avrebbero potuto facilmente disabilitare quei goffi Tomahawks.

Ma l’ ordine è venuto dal cielo – e quindi non hanno fatto nulla.

Il Pentagono aveva mandato, per tempo,  la dritta a Mosca perché sapeva che  cosa c’era in gioco.

Così Mosca ha deciso di far marcia indietro – in cambio di QUALCOSA tutti gli attori possono accettare – qualche volta – di fare la mamma.

Lo Show dei Tomahawk è il modo con cui il Pentagono è riuscito a  demolire la credibilità del Ministero della Difesa russo –  quello che aveva spiegato che l’ “attacco chimico” è stato in realtà il risultato del bombardamento di un magazzino segreto di Jabhat al-Nusra dove si produceva  gas nervino.

Così adesso il Ministero della Difesa russo è NUDO.

Ci sarà una risposta.

Non ora.

Bisognerà ancora aspettare un  paio di mosse, dopo questa partita.

 

Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org a cura di  Bosque Primario

7 Aprile 2017 – comedonchisciotte.org

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Qui, un’altra “penna eccellente”: Thierry Meyssan

http://www.egaliteetreconciliation.fr/Donald-Trump-affirme-son-autorite-sur-ses-allies-45051.html

 

Qui, lo stesso articolo tradotto in italiano da megachip.globalist

http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=127629&typeb=0&donald-trump-afferma-la-sua-autorita-sui-suoi-alleati

 

Qui, invece, Fulvio Scaglione, ex vice-direttore di Famiglia Cristiana. Collabora sempre con Famiglia Cristiana e poi con Avvenire, Eco di Bergamo, Limes, EastWest, e online con Occhi della guerra, L’Inkiesta, Micromega, Eastonline e Terrasanta.Net.

http://m.famigliacristiana.it/articolo/siamo-sull-orlo-della-terza-guerra-mondiale.htm

 

9 Aprile 2017

 

PERCHE’ LA SIRIA? “IL CERCHIO M.E.N.A.”

#Syria #USA #Trump #MENA #petrolio #gas #Imperialismo #Bush #SaudiArabia

MENA

Testo in italiano del capitolo “Il cerchio Mena” del libro di G. Lo Brutto e A. Spataro
“SIGLO XXI- LA ECONOMIA DEL TERROR”, uscito in Messico, nel giugno 2016.
1Dopo l’interventismo di George W. Bush, arrivò il “revisionismo” di Barak Obama il quale, con il memorabile discorso del Cairo, tentò di correggere l’approccio Usa verso il mondo arabo e di recuperarne la fiducia.
Il neo presidente democratico, il primo di pelle nera e di padre islamico, legittimò e rilanciò, in chiave più politica e culturale, la prospettiva “americana” ossia la regione Mena caldeggiata dai principali organismi finanziari internazionali (Banca mondiale e FMI) e dalle stesse agenzie delle Nazioni Unite. E naturalmente, da molti paesi petroliferi della penisola araba.
Come detto, si passò dal vecchio “arco dell’instabilità e della crisi”, che andava dal nord-Africa all’Iran, passando dalla Palestina occupata, al Mena che taluni specialisti, anche di tendenza moderata, ufficialista,  spiegano così.
“L’obiettivo americano è, comunque, quello di ridisegnare gli equilibri in un’area che va dal Nord Africa all’Iran, dove la presa della potenza Usa si è costantemente indebolita negli ultimi anni, a seguito del fallimento della politica di Bush. A questo scopo, gli Usa stanno cercando di inserirsi nei sommovimenti in atto. Anzi, c’è il dubbio che abbiano messo lo zampino anche nella fase delle rivolte, come dimostrerebbe l’esistenza di un progetto, riportato da Wikileaks, di liberarsi di Mubarak, ormai non più affidabile, o il ruolo di un’istituzione americana come American Freedom nel training di blogger anti Ben Alì”. (Negri, 2011)
La regione “Mena” si presenta come una sorta di “cerchio” ellittico ideale che delimita una nuova entità geo-economica e si estende dall’Atlantico al Golfo Persico, al Mar Caspio, inglobando i paesi rivieraschi delle coste Sud ed Est del Mediterraneo, del sub – Caucaso, l’Iran e l’intera penisola araba[1].
Nell’area vivono oltre 350 milioni di persone, quasi tutte accomunate dalla stessa lingua (l’arabo) e dalla stessa religione (l’Islam).
Una realtà in formazione, attraversata da tante contraddizioni e perfino da conflitti, che contiene enormi riserve energetiche (petrolio e gas), grandi risorse finanziarie e importanti mercati (dalle armi ai prodotti di lusso), abbondanza di manodopera a basso costo, ecc.
Tuttavia, la regione “Mena” si caratterizza per il fattore petrolifero e gasiero poiché vi si concentra il 30% circa della produzione, il 40% delle esportazioni e il 65% delle riserve petrolifere mondiali accertate.
Per avere un’idea più dettagliata della realtà di tali settori basta osservare gli andamenti realizzatisi fra il 2000 e il 2013.
Petrolio:
dal 2000 al 2013, le riserve accertate di petrolio di Mena sono cresciute da 725,4 a 869,6 miliardi di barili, corrispondenti al 52% delle riserve mondiali, al 72% delle riserve Opec, al 77% di quelle dei paesi OCSE ossia l’insieme dei paesi occidentali più industrializzati del Pianeta;
nello stesso periodo si è registrato un forte incremento delle produzioni Mena, precisamente da 27.2 a 31.4 mln b/g, corrispondente al 36% del totale mondiale e al 87% di Opec e al 67%  dei paesi OCSE.
Gas:
Nel periodo considerato (2000-2013), anche le riserve di gas naturale di Mena hanno fatto registrare un notevole incremento da 66.494 a 88.570 (mld m/3). Il dato relativo al 2013 corrisponde al 43% delle riserve mondiali e al 92% di Opec ed è 4,4 volte maggiore delle riserve OCSE;
Mentre la produzione gasiera è cresciuta da 308,2 a 699,2 miliardi di m3, superando nettamente quella di Opec (642,5) e attestandosi al 36% della produzione mondiale contro il 24% dell’intera produzione OCSE.
Ben 4 paesi Mena (Qatar, Iran, Arabia Saudita, Algeria) figurano fra i primi 10 paesi produttori di gas. Considerando il rapporto fra riserve e produzione (dati 2013) Mena potrà produrre per 127 anni, contro i 59 anni del Mondo, i 16 anni dei paese Ocse, i 13 anni del Nord America (Usa e Canada), gli 11 anni dell’Unione Europea, i 76 anni della Russia e i 144 anni del Medio Oriente.
Numeri forti che denotano l’importanza attuale e futura della regione con la quale dovranno confrontarsi la gran parte dei paesi industrializzati.
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Il “cerchio Mena” contiene quasi tutti i cosiddetti “Stati-canaglia”, inseriti nella lista nera degli Usa, e le principali aree di crisi che, in certi casi, coinvolgono i territori di alcuni paesi centro asiatici di tradizione islamica dell’ex Urss.
Un’area, dunque, ad alta densità di conflitti, instabile politicamente sulla quale si sono appuntati gli interessi di alcune fra le più grandi potenze mondiali ognuna delle quali è portatrice di un proprio disegno politico ed economico.
In particolare Stati Uniti d’America e Cina, ma anche la Russia di Putin che cerca di rientrare nel gioco mediterraneo e mediorientale per ri-occupare il ruolo importante svolto in passato dall’ex Urss.
L’obiettivo del progetto Mena, che ha messo nell’ombra l’iniziativa dell’Unione Europea sul partenariato euro-mediterraneo, sembra essere quello di controllare quest’area per assicurarsi le risorse (energetiche e finanziarie) e per farla “pesare” nel confronto globale polarizzato intorno a due aggregazioni principali: da un lato gli Usa e i loro alleati occidentali, dall’altro lato i paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) ossia le nuove potenze economiche emergenti (o già emerse!) del terzo mondo.
Per controllare questa regione sono stati provocati, con una cadenza impressionante, micidiali conflitti religiosi e civili, guerre locali e “rivoluzioni” improvvisate quanto sanguinose.
Anche le “ primavere arabe” sembrano inquadrarsi in tale logica, per altri versi inspiegabile. Infatti, nessuno comprende l’appoggio dato dall’Occidente alle “primavere arabe” risoltosi in un madornale errore visto che i paesi investiti  (Tunisia, Egitto e Libia nell’Africa del nord ) sono stati consegnati nelle mani dei fondamentalisti dei “Fratelli musulmani” e di gruppi di qaedisti e dell’Islamic State (Is).
Errori così pacchiani, ripetuti che autorizzano un dubbio atroce: gli Usa (e i loro supporter europei) sbagliano o hanno scelto, consapevolmente, di sbagliare?
Difficile sciogliere tale dubbio anche se sappiamo, e vediamo, che le multinazionali occidentali pur di controllare il petrolio e il gas arabi non si fanno scrupoli di allearsi anche con i più fanatici nemici degli Usa e dell’Occidente ossia con la “tendenza integralista”, variamente connotata, probabilmente ritenuta l’unica in grado di esercitare una seria influenza sul potere politico e sulle risorse degli Stati islamici.
Nel suo saggio, Sebastiano Caputo da questa interpretazione:
“Al momento né Washington né Tel Aviv hanno suonato il campanello d’allarme, difficile capire il perché. La prima ipotesi presuppone che gli Usa sappiano che questi nuovi governi islamo- neocon-servatori agiranno principalmente nel campo del sociale attraverso leggi che limiteranno la libertà, mentre difficilmente metteranno le mani alla macroeconomia, vale a dire il libero mercato e il sistema monetario attuale, di conseguenza risulterebbe inutile scatenare pressioni o sanzioni… Tuttavia l’eclatante trionfo dei valori islamici su quelli laici racchiude in sé una situazione para-dossale. Se si analizza l’evoluzione della politica estera nord-americana dopo i cosiddetti attentati dell’11 settembre e l’atteggiamento scettico nei confronti dell’Islam, la domanda che viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d’America, “garanti della democrazia nel mondo” permettono un tale evento storico – politico? Perché Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e pro-palestinesi di governare Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?” (Caputo, 2013)
La “guerra infinita” continua a destabilizzare i regimi, a massacrare, a distruggere i Paesi del mondo arabo non perfettamente allineati alle direttive d’Oltreoceano. Prima l’Afghanistan, poi l’Iraq di Saddam Hussein, la Libia di Gheddafi. Oggi è la volta della Siria di Bachar Assad. Domani, probabilmente, dell’Iran degli ayatollah. Cambiano i presidenti in Usa e i governi nei Paesi alleati, ma la  “guerra” continua. Come se fosse una sorta di “undicesimo comandamento”!
Un’ inquietante continuità che conferma il timore, piuttosto diffuso, secondo il quale nelle “grandi democrazie” occidentali non comandano gli organi costituzionali, eletti più o meno democratica-mente, ma i “poteri forti” che agiscono nell’anonimato o nascosti “dietro il trono”.
D’altra parte, tolti gli idrocarburi e i petrodollari derivati (appannaggio di pochi clan tribali patrimoniali e politici), la regione Mena non è il migliore dei mondi possibili. Tutt’altro! Le società di quei paesi soffrono, in termini più duri che altrove, le conseguenze della crisi mondiale e quelle derivate dalle ataviche condizioni di sottosviluppo.
Come si legge in uno studio (del 2012) della Camera dei Deputati italiana, nell’attuale fase di ripresa dalla crisi alcune aree della regione si trovano a fronteggiare inediti sviluppi del proprio quadro politico, con implicazioni potenzialmente di vasta portata; il quadro politico, caratterizzato dalla richiesta di riforme della rappresentanza, dell’accountability e della governance, risulta aggravato dall’elevato tasso di disoccupazione giovanile e dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Secondo l’outlook della Banca Mondiale, (febbraio 2011) l’impatto economico della crisi politica sull’area Mena si potrebbe manifestare attraverso alcuni fenomeni di segno negativo:
–     esitante ripresa della crescita, già lenta soprattutto per i paesi importatori di petrolio, a causa della caduta delle entrate derivanti dal turismo e le perturbazioni che hanno colpito le attività finanziarie;
–    impatto potenzialmente significativo degli effetti della crisi sulle fasce più povere della popolazione, specialmente in un quadro di crescita inflazionistica;
–    diminuzione degli investimenti determinata dal perdurare del quadro di incertezza e possibili complicazioni di lungo periodo per gli operatori del settore finanziario;
–    aggravamento del deficit fiscale a seguito del rallentamento delle entrate e all’aumento della spesa corrente. Tale quadro critico si sta inverando nei paesi i cui governi aumentano gli stipendi della pubblica amministrazione e annunciano assunzioni nel settore pubblico, sussidi e aumento del salario minimo;
–    crescita generalizzata dei costi economici in particolare nei casi di persistente instabilità o di mancanza di chiarezza nella transizione politica in atto[2].
E la “vecchia” Europa, dominata dall’euro-burocrazia di Bruxelles e dalle banche, assiste, impotente, divisa e debilitata, a tali manovre che si svolgono nella propria area di “pertinenza” se non altro per la prossimità geografica.
A soppiantarla anche nel Mediterraneo (ossia nel cortile di casa) sono gli Usa che tirano le fila di un nuovo disegno politico- strategico qual è il Mena.
La novità è stata recepita. Non a caso, la gran parte degli attori politici tradizionali, degli stessi sommovimenti arabi non guardano all’Europa ma agli Usa come principale riferimento “esterno”.
L’Europa segue a ruota sul terreno della strategia politica e su quello della politica finanziaria anche per quanto riguarda il Mena in favore della quale l’U.E. ha creato uno speciale “Fondo Mena” che- secondo il bollettino della Commissione U.E. – ha “lo scopo di investire nel settore infrastrutturale ed energia in Medio Oriente e Nord Africa…” facendo leva sulla partecipazione volontaria dei Paesi membri, della Bers e del fondo fiduciario Neighbourhood Investiment Facility (NIF).”
Così anche sul terreno dell’impegno militare, nel quale si distinguono in particolare alcuni paesi a più spiccata vocazione servile (quali, oggi, Francia, Gran Bretagna e, in seconda fila Italia e Spagna) che sembrano avere rinunciato a svolgere un ruolo autonomo di pace, per lasciarsi coinvolgere in avventure rischiose e molto costose per i grami bilanci dei rispettivi Stati.
La non partecipazione della Germania, Paese guida dell’U.E., all’avventura libica e in genere alle tante missioni “umanitarie” nel Mediterraneo e in giro per il mondo (tranne in Afghanistan), do-vrebbe far riflettere i tanti “soloni” che pontificano sulla democrazia degli altri che vorrebbero salvare o instaurare con i droni e con i cannoni.
Anche se, come scriviamo in altra parte, i grandi industriali tedeschi, timorosi di restare esclusi, hanno cominciato a premere sul governo per un impegno diretto delle forze armate tedesche nelle future “missioni di pace” ossia per partecipare ai dividenti del bottino di guerra: le materie prime.
In questo crogiuolo di contraddizioni, l’U. E. rischia il blocco, la dissoluzione del progetto d’unione politica ed economica. La stessa Europa rischia di smarrire la propria identità storico- culturale e geo-politica, rafforzando il punto di vista di chi sostiene che non sia un continente, ma solo una propaggine dell’Asia verso l’Atlantico e il Mediterraneo.
Fisicamente, così è. Tuttavia, da tremila anni, l’Europa è fonte e sede di una delle più grandi civiltà umane. Purtroppo, oggi, è in declino e molti, amici e concorrenti, cercano, di anticiparne la caduta; d’invaderla silenziosamente, amichevolmente, per spolparsi le sue enormi ricchezze materiali e immateriali.
Più che una speranza ben riposta, il futuro dell’Europa è un problema mal posto, poiché resta incerto e succube di forze e interessi ostili e contrapposti. L’Europa ha smarrito il senso della sua dignità storica, della sua autonomia culturale e politica.
La soluzione? La risposta non è facile. La crisi è tale che l’U.E. potrebbe, perfino, disgregarsi. Per evitare tale pericolo, bisogna cambiare registro politico e strategico e puntare a un’ Europa dei popoli e non più delle consorterie multinazionali.
Sulla base di tale correzione di rotta, dovrà proseguire l’allargamento fin dove è possibile nell’ambito dei popoli di cultura europea, abbandonando la politica di provocazione e delle tensioni svolta per conto terzi in ambito Nato.
In tale prospettiva, diventa auspicabile, possibile il progetto di unire Europa e Russia o, se si preferisce, di associare la Russia all’Unione europea. Sì, avete letto bene, la sterminata Russia che ci è stata sempre presentata come l’eterno nemico.
Ieri da Napoleone e da Adolf Hitler, i quali tentarono, rovinosamente, di conquistarla militarmente, oggi da certa oligarchia politica e finanziaria occidentale che non si rassegna al fallimento del suo tentativo d’incorporare la Russia fra le sue “dipendences” orientali.
Un’idea simile potrà apparire paradossale, fuori da ogni ragionevole previsione, tuttavia un senso lo ha, una logica pure, specie se realizzata gradatamente e alla luce delle nuove ri-aggregazioni (spartizioni?) mondiali che stanno avvenendo su basi continentali.
Non si desidera un’unione contro qualcuno (Usa, Cina o altre realtà del mondo), ma un fattore di stabilità, di pace, di cooperazione; per dare un senso pieno all’autonomia dell’Europa che, allo stato, appare fiaccata, barcollante al suo interno, simile a un “continente” alla deriva.
Da sola, l’Europa difficilmente potrà uscire da tale precaria condizione. Se l’obiettivo generale del nuovo ordine è di creare un mondo davvero multipolare, allora l’Europa dovrà proseguire nel programma di adesione e aggregare nuovi soggetti per creare uno dei nuovi poli dello sviluppo mondiale.
Quali nuovi soggetti? Gli Usa sono lontani e non sempre i loro interessi combaciano con quelli europei; l’ipotesi euro-mediterranea è stata resa sterile per volere degli Usa e per subalternità francese.
La Cina e le altre realtà asiatiche sono ancor più lontane e presentano caratteristiche socio-culturali, al momento, non assimilabili. Così si può dire, anche per ragioni di carattere logistico e funzionale, per altre regioni e/o continenti quali l’Africa, il mondo arabo-islamico, l’America latina.
Non resta che la Russia ossia un Paese- continente, di prevalente cultura europea, che si estende in continuità con l’Europa verso il cuore dell’Asia, l’Oceano Pacifico.
Un territorio sterminato e ricco di enormi riserve energetiche e metallifere, di boschi, di acque, di terre vergini, di mari pescosi, ecc.
Evitiamo ogni riferimento agli apparati e potenziali militari e nucleari che si spera possano essere liquidati in tutto il mondo. Che, però, esistono!
Risorse importanti, strategiche che, unite al grande patrimonio europeo (tecnologie, saperi, scienze, professioni, culture e tradizioni democratiche, ecc), potrebbero costituire il punto di partenza per dare vita a “Euro-Russia”, a una nuova “regione” geo-economica mondiale, dall’Atlantico al Pacifico, al Mediterraneo.
Una prospettiva di medio / lungo termine (anche se non lunghissimo!) che non può essere inficiata o addirittura rifiutata a causa di stizzosi riferimenti a situazioni di crisi locali, agli attuali leader.
Per fortuna, gli uomini passano (anche i peggiori), le idee, se sono buone, restano e potranno camminare con i piedi e con le teste degli uomini e delle donne che verranno.
Anche da parte della Russia, nonostante i minacciosi venti di guerra che da sud e da ovest soffiano contro di essa (Ucraina, Cecenia, Georgia, ecc), si pensa a grandi progetti e a grandi investimenti per collegare il Pacifico e l’Atlantico, attraverso la Siberia e l’Europa. Nel marzo del 2014, a Mosca, è stato presentato dal presidente delle ferrovie russe, Vladimir Yakunin, un grandioso mega progetto denominato “Corridoio euro-asiatico Razvitie” , che- come notano M. Lettieri e P. Raimondi “negli anni potrebbe richiedere investimenti per parecchie centinaia di miliardi di euro, per collegare con moderne infrastrutture la costa russa del Pacifico con i Paesi europei fino all’Atlantico. Nel corridoio, oltre ai trasporti ferroviari e autostradali, sono previsti anche collegamenti continentali con pipeline per il gas, il petrolio, l’acqua, l’elettricità e le comunicazioni. Si prevedono anche collegamenti diretti con la Cina, che del resto sta già attivamente portando avanti simili politiche di sviluppo euro-asiatico attraverso la realizzazione di moderne Vie della Seta, e con il Nord America, con la realizzazione di collegamenti ferroviari che, passando attraverso lo Stretto di Bering, potranno collegare via terra la Russia e l’Asia con l’Alaska. Evidentemente la visione strategica del progetto va ben oltre la realizzazione dei corridoi di transito. Infatti, si ipotizza anche lo sviluppo in profondità di una fascia di 200-300 km lungo l’intera linea per nuovi insediamenti urbani e nuovi centri produttivi. Secondo Yakunin un tale progetto potrebbe creare almeno 10-15 nuovi tipi d’ industrie basate su tecnologie completamente nuove.” (Lettieri y Raimondi, 2014)
Ovviamente, questo è solo uno spunto, una “bella utopia”. I giochi di guerra, gli intrighi per il nuovo ordine mondiale sono in corso da qualche tempo. E sono ancora aperti. Il problema è come vi si partecipa: se da protagonisti o da comprimari.
All’orizzonte si profila una nuova bipartizione del mondo, con Cina e Usa come capifila. Taluno prevede un’improbabile tripartizione, inserendo la Russia nel terzetto. Nessuno pronostica un ruolo primario dell’U.E., condannata a restare sottoposta agli Usa.
Non sappiamo quali saranno la collocazione, il ruolo della Russia e dell’Europa fra 30/50 anni. Una cosa sembra sicura: divise, potranno solo sperare che uno dei due capifila le inviti ad accodarsi.
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[1] Con l’acronimo MENA (Middle East and North Africa) viene indicata la regione che si estende dal Marocco, ad ovest, attraversa la fascia nord-occidentale dell’Africa e prosegue verso l’Iran nel sud ovest asiatico. I paesi che ne fanno parte, come enumerati dalla Banca Mondiale, presente nell’area con propri progetti, sono Algeria, Bahrain, Djibouti, Egitto, Iran, Iraq, Israele, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Malta, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Siria, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, West Bank and Gaza, Yemen.
[2] “Documenti –Camera dei Deputati, repubblica Italiana- Roma, 2012”.
Di Giuseppe Lo Brutto – Agostino Spataro
Articolo pubblicato il 9 Aprile 2017 da contropiano.org

LA VERITA’ SULLA GUERRA IN SIRIA

#Syria #sarin #Idlib #Trump #guerra

La verità sulla guerra in Siria detta in diretta alla RAI. Ascoltiamo le parole di Franco Romano.

9 Aprile 2017

 

ILARIA ALPI. IL GIALLO DELL’AEREO, DELL’AEROPORTO E LA “RETE” DELLA CIA

#IlariaAlpi #MiranHrovatin #LucianaAlpi #Somalia #Mogadiscio #assassinio #CIA #Gladio #Shifco #RifiutiRadioattivi #TrafficoDiArmi #MobyPrince #silenzio #SegretoDiStato

per ilaria

Nota delle Admin: Vi proponiamo questo dettagliato articolo redatto dal Giornalista Luigi Grimaldi, uno dei pochi Giornalisti di cui andare ancora fieri, in onore di Ilaria, di Miran, di tutti i Giornalisti e Reporter uccisi o oltraggiati per la loro ricerca della Verità, e in onore della Signora Luciana, la mamma di Ilaria, che speriamo non smetta mai di lottare. I lutti, come la morte di Ilaria, non sono privati ma ci toccano e ci riguardano TUTTI. E questo è il NOSTRO Paese, non di tutti questi mercenari e sciacalli “stranieri” che aleggiano intorno a questa vicenda, come mille altre, tenuta purtroppo ancora nell’oscurità. Abbiamo tante domande e VOGLIAMO FINALMENTE LE GIUSTE RISPOSTE!

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Dall’analisi delle migliaia di pagine desecretate nei mesi scorsi dal parlamento relative alle inchieste sull’assassinio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (un lavoro lungo e complesso) scava e scava, salta fuori un nuovo mistero. Il tema è quello del ritorno a Mogadiscio dei due giornalisti dalla trasferta a Bosaso, oggetto dell’inchiesta sui traffici di armi che ha decretato la loro condanna a morte.
A parte il TG3, cui Ilaria ha chiesto di prenotare il satellite per trasmettere il suo ultimo servizio, nessuno sa quando Ilaria sarebbe tornata a Mogadiscio. Forse lo sa solo chi gestisce il volo: Unosom.
Non lo sanno nemmeno le sue guardie del corpo e il suo autista.

QUANDO TORNA ILARIA?

Secondo le testimonianze di Sid Ali Abdi[1], l’autista, e di  Mahmud Nur Abdi[2], la guardia del corpo, il posto giusto per avere informazione sugli spostamenti e i programmi di viaggio di Ilaria e Miran, il 20 marzo, non è il servizio trasporti di Unosom ma, chissà perché, una ONG Italiana operativa all’epoca in Somalia: il CISP.

La mattina del delitto i due si recano presso l’ONG, che si trovava a Mogadiscio Nord, la zona controllata da Alì Mahadi, a pochi passi dal punto in cui poche ore dopo i due giornalisti saranno uccisi. E’ così che vengono informati che Ilaria sarebbe partita da Bosaso alle 12 e quindi, pensano, o viene loro suggerito, di andare ad aspettarla presso l’ambasciata americana, dove è in funzione una elinavetta che trasporta i passeggeri in arrivo all’aeroporto di Mogadiscio.

E così fanno. D’altronde il compaund Usa quella mattina è molto frequentato. Per lavoro anche Gelle[3], il falso testimone di accusa contro Omar Hasci, smascherato lo scorso anno da Chiara Cazzaniga di “Chi l’Ha Visto?”, si trova lì, così come Giancarlo Marocchino[4], che per primo arriverà sul luogo del delitto.

 

QUALCUNO LI ASPETTA

Ma Ilaria e Miran non arriveranno mai all’ambasciata USA perché, mentre la loro scorta è stata depistata, qualcun altro li sta aspettando all’aeroporto[5] per riaccompagnarli all’Hotel Shafi. Qualcuno, che evidentemente disponeva di un mezzo e di una scorta armata e, ovviamente,  della precisa informazione del loro arrivo. L’ identità di questi “accompagnatori” non è mai stata scoperta. Non si tratta di un dettaglio. Ilaria e Miran avrebbero dovuto ripartire da Bosaso non il 20, ma il 16 marzo se, altro mistero, qualcuno non gli avesse fatto perdere l’aereo. Verrebbe da chiedersi se chi li accoglie a Mogadiscio non sia in relazione con chi ha determinato il ritardato rientro degli inviati RAI o con chi ha depistato la sua scorta. Anche perché, in base alle testimonianze, proprio mentre i due giornalisti Rai sbarcano a Mogadiscio, il commando omicida prende posizione davanti all’Hotel Hamana[6].

La domanda però é: per quale motivo la sede CISP di Mogadiscio è a conoscenza degli spostamenti dei due giornalisti Rai? E perché la scorta di laria sa di doversi informare li?

 

Il TOP ASSET DELLA CIA A MOGADISCIO

Ci sono solo due risposte possibili. Una innocente, l’altra estremamente curiosa.
La prima è che il centro del CISP disponeva di una stazione radio in grado di raccogliere informazioni, anche se non si capisce bene da chi.
La seconda invece è relativa alle particolarissime frequentazioni della responsabile del CISP in Somalia.
La dottoressa Stefania Pace [7]è stata responsabile regionale del CISP di Mogadiscio per 10 anni, dal 1988 al 1998. Non si sa se il 20 marzo 1994 fosse fisicamente a Mogadiscio, nessuno glielo ha mai chiesto. Si tratta però di un dettaglio non determinante.

Secondo quanto ricostruito dal Washigton Post [8] fino all’agosto del 1993 (ma non sappiamo da quanto tempo prima) Stefania Pace è la compagna del “top Asset somalo della Cia a Mogadiscio”, coordinatore e arruolatore della rete di informatori della agenzia spionistica USA: tale Ibrahim Hussein detto Malil [9], morto ufficialmente durante una partita di Roulette Russa, ma probabilmente assassinato, nell’agosto del ’93[10].

Prima della sua morte Malil si occupava di logistica assistendo la stessa ONG CISP e la Cooperazione allo sviluppo italiana del Ministero degli Esteri (MAE), secondo i ricordi del funzionario del MAE, Franco Oliva. Un ruolo, alla morte di Malil, che sarà assunto da Giancarlo Marocchino.

 

AGENTE CONDOR

Malil, rampollo di una famiglia di rispetto, ben introdotto politicamente, ricco, studi in una università americana, era stato arruolato nella CIA a Mogadiscio da Mike Shanklin (nome in codice Condor) nel 1990 quando questi era vice capostazione con la copertura di addetto commerciale. Nel 92 Shanklin è per qualche mese a Londra (agente di collegamento con l’MI6) poi, tra novembre e dicembre, di nuovo in Somalia.

Nel 1993 Shankin [11] è direttore delle operazioni CIA a Mogadiscio e sovrintende, assieme al capostazione John Garret (nome in codice Crescent) e al suo vice John Spinelli (nome in codice Leopard, un italoamericano a lungo agente di collegamento col Sismi), a tutte le attività di appoggio ai militari Usa in somalia e alla caccia al Generale Aidid.
Il fatto interessante è che, dopo la morte di Malil[12], Mike Shanklin ne prende il posto e diventa il compagno di Stefania Pace. Happy end con confetti in salsa somala. Al punto che Stefania Pace diventa, prima di fare un lusinghiera e lunga carriera nel nostro Ministero degli Esteri e poi in agenzie delle Nazioni Unite [13] (in particolare quella dedicata ai profughi Palestinesi con cui ha un rapporto di grande rilievo anche l’Ambasciatore Cassini[14] protagonista della vicenda Gelle), la signora Shanklin.

Bella e meritata carriera maturata dopo 10 anni di militanza nel CISP e 4, dal 1998 al 2001, nella azienda di consulenza spionistica messa su da Mike, dopo il licenziamento dalla CIA[15].

 

ROBA DI CASA NOSTRA E DI CASA LORO

Un matrimonio contrastato il loro, proprio dalla CIA, determinata a  allontanare un “agente stellare” premiato con la più alta onorificenza prevista per gli uomini dell’Agenzia in quanto marito di una cittadina straniera. Peccato, carriera finita e un futuro nell’intelligence privata.
Personaggi d’eccezione, Shanklin e Spinelli. I loro nomi compaiono nelle inchieste sul rapimento di Abu Omar da parte della CIA e nell’inchiesta sullo scandalo spionistico Telecom, il caso Mancini-Tavaroli, per intenderci[16].

Stefania Pace, Mike Shanklin, John Spinelli (nonostante risiedano tutti in Italia) non sono mai stati sentiti da nessuno in relazione al caso Alpi nell’arco degli ultimi 22 anni. Certo non ci sono prove dirette di un loro coinvolgimento nella vicenda, né delle relazioni tra loro e il rappresentante della Comunità Europea a Mogadiscio (finanziatrice del CISP) Hamed Washington, che non si sa bene che nome abbia[17] visto che Washington è un soprannome affibiatogli a testimonianza della vicinanza di “sentimenti” con gli USA: è lui l’uomo che fa uscire da un cappello da prestigiatore, e lo invia all’Ambasciatore Cassini, il testimone corrotto Gelle che porterà alla condanna a 26 anni di Omar Hashi per l’omicidio di Ilaria e Miran: un depistaggio con capo espiatorio, per chiudere in fretta il caso.

 

ILARIA MIRAN E LA CIA

Prove del ruolo della Cia e dei rapporti in Somalia con i nostri servizi segreti, d’altronde, nessuno le ha mai cercate. Nessuno si è mai chiesto per esempio se mai sia esistita una relazione tra la morte di Malil (agosto ’93) e quella del nostro 007 Li Causi (Novembre ’93).
Insomma, indizi, che si sommano a tanti altri che vanno nella stessa direzione.

Ad esempio in relazione agli esecutori materiali indicati dalla DIGOS di Udine [18](prima che venisse esclusa dalle indagini), tra cui un somalo/americano prima arruolatore di Mujadin per conto della Cia[19] e poi portavoce delle Coorti Islamiche. Oppure, sempre ad esempio, in relazione alla testimonianza di quell’ufficiale dei Carabinieri che mise a verbale di aver appreso, non al bar, ma da personale dei nostri servizi segreti militari e da personale della delegazione diplomatica Italiana a Mogadiscio (quindi la struttura per cui lavorava all’epoca l’Ambasciatore Cassini), che mandante dell’omicidio di Ilaria e Miran sarebbe stata la CIA[20].

 

DOMANDE SENZA RISPOSTE

E la domanda resta: perché quel 20 marzo 1994 il CISP di Mogadiscio era informato sugli spostamenti di Ilaria e Miran? Perché la scorta dei due giornalisti RAI sa di dover andare li per sapere come muoversi? Perché dopo l’Omicidio dei due giornalisti la sicurezza dell’Hotel Hamana si reca proprio al CISP per sapere come comportarsi e da lì viene contattato via radio Giancarlo Marocchino perché intervenga?[21] E perché anni dopo un falso autista di Ilaria, ma in possesso di documeti autografi della giornalista Rai, incontra casualmente in Kenia la giornalista Isabel Pisano (buona e vecchia amica di Francesco Pazienza) durante un viaggio verso Mogadiscio, sulle tracce di Ilaria e Miran, organizzato per lei da Stefania Pace[22] ?

Forse tutte le domande hanno una risposta esauriente, innocente e semplice, o forse no. Il fatto è che sono domande che nessuno ha mai posto.

[1]  Questura di Roma, Sommarie informazioni testimoniali di persona informata sui fatti, rese da: SID ALI MOHAMED ABDI, 12 Gennaio 1998

[2]  Ministero degli Esteri, Delegazione Diplomatica Speciale per la Somalia, Roma 1 aprile 1997, Lettera ai coniugi Alpi a firma dell’Ambasciatore Cassini

[3] Dichiarazione resa a Chiara Cazzaniga di “Chi l’ha Visto?” In onda il 18 febbraio 2015

[4]  Corte di Assise di Roma Proc/Pen 24/98 rg Udienza 09/06/99 pag. 14

[5]  Ministero degli Esteri, Delegazione Diplomatica Speciale per la Somalia, Roma 1 aprile 1997, Lettera ai coniugi Alpi a firma dell’Ambasciatore Cassini

[6] Questura di Roma. Verbale di sommarie informazioni assunte in qualità di persona informata sui fatti, rese da ADAR AHMED OMAR, 16 luglio 1998

[7] Commissio Parlamentare di inchiesta Alpi Hrovatin verbale di sommane informazioni (ex Art. 351 C.P.P.) rese da:

CIPRIANI Dino, pagina 4, 29 novembre 2004

[8] Confessions of a Hero – The Washington Post 29 aprile 2001

[9] Maxaa ka jira in CIA-du Xamar ku Dishay Ganacsade iyaga u shaqeynayey? 10 marzo 2006

[10]  Infra nota 8

[11] Safe for Democracy: The Secret Wars of the CIA Di John Prados, Ivan R. Dee Chicago, 14 settembre 2006, pag 588 sgg

[12] Tribunale di Asti CFS Nucleo Operativo di Brescia Verbale Sommarie informazioni testimoniali di Franco Oliva, in Roma 31 marzo 1998

[13] http://www.unrwa.org/newsroom/press-releases

[14]  http://www.unrwaitalia.org/chi-siamo/unrwa-italia/struttura/

[15] http://www.zoominfo.com/p/Michael-Shanklin/841300319

[16] Tribunale di Milano proc. N. 25194/08 R.G.N.R. Sezione del Giudice per le indagini preliminari e dell’Udienza Preliminare, sentenza, pag 204 e sgg

[17] http://www.irinnews.org/news/2005/11/03/somaliland-asks-replacement-eu-liaison-officer  Ahmed Muhammed Mahamud, better known as Ahmed “Washington”.

[18] Questura di Udine, Digos, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin , patito omicidio. 02/02/1998

[19] Corriere della Sera 05 marzo 2007 Raid di elicotteri e commando nel Sud a caccia di terroristi Somalia, attacchi Usa contro basi islamiche, di Massimo Alberizzi

[20] Battaglione Carabinieri Paracadutisti Tuscania. Comando. “Oggetto: omicidio dei Giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”. Alla procura della Repubblica di Roma relazione di servizio a firma dal Ten ORSINI Stefano. 19 dicembre 1994

[21] Lettera di Giovanni Porzio a Giorgio Alpi, 26/05/1994, in Atti commissione Parlamentare di Inchiesta sul delitto Alpi Hrovatin,

[22] Commissione Parlamentare di inchiesta sul delitto Alpi Hrovatin Seduta del 25/3/2004, esame testimoniale di Isabel Pisano. Pagina 67

 

Di Luigi Grimaldi

 

28 luglio 2016 – articolo21

 

LA POLIZIA ISRAELIANA SPARA SU TEENAGER PALESTINESE, POI L’ARRESTO DOPO LA DENUNCIA DEL PADRE

#Palestina #israele #occupazione #bambini #DetenzioneAmministrativa –

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Prefazione di Invictapalestina:

“Occhi: quando apriremo i nostri, forse, quelli dei bambini palestinesi non verranno più accecati.

Facciamo conoscere questa storia a CENTOMILA persone? Dipende dalle nostre condivisioni. Il video dei bambini palestinesi incarcerati grazie a voi tutti ha raggiunto oltre DUECENTOVENTIMILA visitatori.

Questo il video sui bambini nelle carceri israeliane.”

 

by Gideon Levy, Jan 05, 2017 5:45 PM

Ahmad Mahmoud stava andando a comprare un paio di scarpe con sua madre, quando un poliziotto gli spara un proiettile di gomma agli occhi.

E‘ stato ricoverato per una settimana e ha perso la vista ad un occhio. Suo padre ha sporto denuncia agli affari interni. Una settimana dopo arrivano i poliziotti per arrestare il ragazzo.

Un adolescente, con la mamma e la zia camminano insieme felici e spensierati per acquistare un regalo – un paio di scarpe nuove – come premio per la sua eccellente pagella. Appena si addentrano in un vicolo, un gruppo di bambini sfreccia verso di loro. Prima di capire cosa stia succedendo, sentono un colpo e il ragazzo cade a terra davanti allo sguardo inorridito della madre, urlando di dolore e sanguinante da un occhio.
Ahmed Mahmoud, 15 anni, studente delle superiori, studente modello ben curato con i capelli alla moda, è sul punto di svenire. Pensava di aver perso la vista, ora settimane più tardi, ricorda di aver vomitato sangue. La madre, Esrar, era in preda al panico.

E’successo un mese fa, il 5 dicembre intorno alle 3.30 del pomeriggio, sulla strada vicino a casa loro nel villaggio di lssawiya nei dintorni di Gerusalemme.

La zia di Ahmed si precipitò in una casa vicina per chiamare un parente che portò l’adolescente al Makassed Hospital, nella parte orientale della città. Secondo il racconto di suo padre Mohammed, avevano paura di portarlo in un ospedale israeliano, perché avrebbero potuto arrestarlo – com’era successo ad altri bambini del posto. Ma dopo aver constatato che nel Makassed Hospital non era possibile l’intervento, i suoi genitori lo dovettero portare all’Hadassah University Hospital, nel quartiere Ein Karem di Gerusalemme.

 

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Università ebraica di Gerusalemme

I Mahmouds sono una famiglia moderna, affabile. I due genitori hanno 42 anni. La figlia più grande studia come educatrice all’Università Ebraica di Gerusalemme.

E‘ stato lo zio del ragazzo, Jamal Aladin, un architetto che si è laureato presso la Bezalel Academy of Arts and Design e che al momento stava lavorando su un progetto nella città di Modi’in, che ci ha informati del caso di suo nipote.
“Ho deciso di scrivere a voi dopo che il medico dell’ospedale Hadassah ha informato mio nipote che aveva perso la vista da un occhio … [e] un altro ragazzo ha perso un occhio nel villaggio di Isawiyah dopo essere stato colpito da un proiettile di gomma sparato dalla polizia di frontiera,” ha scritto.
I medici dell’Hadassah University Hospital hanno verificato che la retina dell’occhio destro di Ahmed aveva subito vistosi danni irreparabili; quello di sinistra non è stato ferito.

Quando Ahmed è stato ricoverato in ospedale, dove è rimasto per sei giorni, ai suoi genitori è stato chiesto com’era successo e loro hanno raccontato che il loro figlio era stato colpito da un proiettile di gomma sparato da un poliziotto di frontiera. Circa un’ora dopo, due investigatori della polizia sono arrivati al pronto soccorso, a quanto pare a seguito della segnalazione del suo arrivo fatta dall’ospedale, come è richiesto in questi casi.

Il padre ha chiesto ai due ufficiali se fossero della juvenile unit – una domanda che i palestinesi di solito non osano fare. I poliziotti hanno detto di non essere di tale unità e di essere lì per la denuncia del padre, riferendo di non avere informazioni su un incidente in Isawiyah.

Mohammed ha raccontato quello che era successo a suo figlio. Gli ufficiali hanno chiesto alla madre e alla zia di andare il giorno dopo a depositare la loro testimonianza alla stazione di polizia israeliana di Shalem a Gerusalemme Est, e loro lo hanno fatto.
Oltre al sanguinamento della retina, il personale medico ha verificato una frattura nella cavità oculare. La madre di Ahmed reputa che il figlio sia stato colpito da una distanza di circa 20 metri. La gente del villaggio ha detto loro che il poliziotto di frontiera che ha sparato contro Ahmed era nascosto dietro un muro ed era probabilmente un cecchino. Ci sono stati molti recenti casi di sassaiole verso poliziotti, che per qualche motivo spesso vengono a Isawiyah alla fine dell’orario scolastico. Negli ultimi mesi, circa otto bambini e ragazzi del posto sono stati colpiti agli occhi con proiettili di gomma, questo nel villaggio crea il sospetto che i cecchini mirino agli occhi.

Una valutazione completa dei danni permanenti alla vista di Ahmed non è ancora nota; allo stato attuale, può a malapena vedere con l’occhio sinistro.
Il 18 dicembre, una settimana le dimissioni dall’ospedale, il padre di Ahmed ha presentato una denuncia all’unità del Ministero della Giustizia perché si facesse un’indagine sugli agenti di polizia. E’ stato informato che non avevano personale disponibile e che lo avrebbero aggiornato (cosa che devono ancora fare).
In seguito, il 26 dicembre, alle 04:30 (della notte), gli agenti di polizia bussano alla porta della casa di famiglia. Ahmed, ancora convalescente, quella notte dormiva a casa dei suoi nonni. Prima di andare a letto insieme a suo nonno aveva guardato su un canale sportivo della pay-TV una vecchia partita con il Barcellona, la sua squadra di calcio preferita.
Quando il padre di Ahmed apre la porta, si trova davanti quattro poliziotti in abiti civili protetti da sei o sette poliziotti di frontiera mascherati e con le armi in mano. Gli ufficiali chiedono di vedere un suo documento per passare poi all’interrogatorio del figlio. Lui spiega che Ahmed non è in casa. La polizia mostra un mandato e incomincia a cercare negli armadi sequestrando due paia di pantaloni. Un paio di Ahmed; l’altro del fratello di 22 anni. Mohammed cerca spiegazioni, ma la polizia porta via entrambi i pantaloni.

I pantaloni sono apparentemente necessari per l’identificazione, sulla base di fotografie in possesso della polizia. Hanno riferito che Ahmed era ricercato per casi precedenti di sassaiole. Gli agenti sono pronti per andare a casa del nonno per arrestare l’adolescente, ma il padre riesce a persuaderli di lasciarlo stare, dal momento che si stava riprendendo dalle ferite e aveva bisogno di dormire. A Mohammed è allora stato detto di portare il figlio alla stazione di Shalem alle 09:00 del mattino.

Mohammed va a svegliare suo figlio, e per non spaventarlo gli dice che è necessario andare in ospedale per una radiografia. Ma Ahmed sente dal padre, mentre lo spiega al nonno, di essere ricercato per essere interrogato dalla polizia.
Arrivati alla stazione di polizia, Mohammed è subito informato che suo figlio è in arresto. Cerca di protestare: in precedenza avevano dichiarato che il ragazzo era necessario per essere interrogato e non avevano ancora iniziato. Cerca anche di spiegare, inutilmente, che il figlio aveva un appuntamento in ospedale.

“Io non ho fatto niente. Perché dovrei aver paura?” Ha risposto Ahmed, quando gli è stato chiesto se aveva avuto paura durante la sua detenzione. Il giorno dopo, il procuratore della polizia dopo aver cercato di rinviare, avrebbe riferito che giudice della Corte lo accusava di aver tirato pietre contro le forze di sicurezza nel mese di novembre fino all’inizio di dicembre.
Ahmed riferisce di essere stato picchiato durante l’interrogatorio: è stato fatto a giacere sul pavimento e preso a calci per circa 10 minuti per costringerlo ad ammettere di aver lanciato pietre. Dice anche che i poliziotti hanno maledetto sua madre e hanno minacciato di arrestarla se non avesse confessato. Hanno anche minacciato di portarlo davanti al preside della sua scuola se non avesse confessato. Poi gli hanno dato un modulo in lingua ebraica da firmare, ma lui ha rifiutato, così dice.
I poliziotti gli hanno detto di avere una sua fotografia mentre lanciava pietre; ha chiesto di vederla, ma non hanno mostrato nulla.
Il padre Mohammed è convinto che l’arresto sia avvenuto solo perché aveva presentato una denuncia all’unità che indaga sul comportamento degli agenti di polizia.

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Russian Compound di Gerusalemme

Ahmed nella notte è stato arrestato, è stato portato con mani e piedi ammanettati all’ospedale Hadassah per ottenere un’autorizzazione medica riguardo al suo stato. Ahmed racconta che è stato per ore senza cibo. La sua famiglia ha cercato di inviare medicine e pomate per il suo occhio, ma la stazione di polizia centrale del Russian Compound di Gerusalemme ha richiesto una prescrizione per avere medicine in prigione. Tuttavia Ahmed dice che, durante i suoi quattro giorni di detenzione, non gli è stato somministrato alcun farmaco. Il padre fa notare lo stato del suo occhio al momento del rilascio: rosso e gonfio.
Dopo essere stato detenuto per due giorni, la polizia ha chiesto di trattenere Ahmed per altri quattro giorni; il giudice ha concesso altri due giorni.
Ahmed è stato rilasciato su cauzione di 1.000 shekel ($ 250) e messo agli arresti domiciliari per una settimana. E’ molto dubbio che sarà portato in giudizio.

Il portavoce del distretto di polizia di Gerusalemme ha dichiarato, in risposta ad una domanda del quotidiano Haaretz: “Il sospetto è stato arrestato e interrogato dalla divisione Kedem [delle forze di Gerusalemme] a causa dei suoi coinvolgimenti in incidenti in cui si metteva a rischio la pace. In questo contesto ha partecipato con altri, ed è stato documentato, a lanci di pietre e bottiglie molotov contro le forze di polizia a Isawiyah. Durante il suo interrogatorio, il giudice ha esteso la sua detenzione ed è rimasto in custodia presso il Russian Compound, sotto la tutela del Prison Service Israele. Al termine delle indagini il suo caso è stato trasferito alla Procura della Repubblica per l’esame e la sentenza. Inoltre, è necessario che ciò che dice il sospettato venga discusso con le autorità competenti“.

Anche se gli arresti domiciliari si sono conclusi alle 08:00 di mercoledì della scorsa settimana, Ahmed non può andare a scuola, per paura di affaticare il suo occhio. La madre lo guarda con preoccupazione e gli aggiusta la maglia che indossa. Ahmed di notte dorme nel letto dei suoi genitori, al posto di suo padre, dice Esrar la mamma, mentre va via.
Questa settimana, sono finalmente arrivate le scarpe che lei stava per acquistare un mese fa, con la zia. Ahmed le calza ora – sono stivali australiani alla moda. Suo zio Jamal cerca di rassicurare i suoi timori di non essere più in grado di vedere con l’occhio destro.

“Guardate Moshe Dayan,” dice al ragazzo, “guarda quello che ha fatto con un occhio.”

 

http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.763269

traduzione: Invictapalestina.org

 

8 gennaio 2017 – invictapalestina

LA STRADA PER ALEPPO (Fulvio Scaglione)

#Syria #Aleppo #AleppoLibera #jihadisti –

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Aleppo, 7 gennaio 2017. La via più indicata per raggiungere Aleppo, oggi, non è la più breve o la più comoda, ma la più sicura. Così da Damasco, in auto, ci vogliono quasi sette ore mettendo insieme tratti di autostrada, strade secondarie e anche pezzi di piste un tempo battute soprattutto da chi faceva piccolo contrabbando.

Zigzagando e divagando rispetto alla direttrice naturale. E valicando, nel frattempo, alcune migliaia di buche e decine di check point militari e controlli di polizia. Alla fine, niente di straordinario, considerati i sei anni di guerra.
Un bel pezzo di questo puzzle chiamato strada, però, punta dritto in direzione di Raqqa, la cosiddetta “capitale del Califfato”. Di fatto, per più di un’ora, l’auto viaggia avendo alla destra le aree ancora infestate dall’Isis e compagnia e a sinistra quelle ormai dominate dall’esercito di Bashar al-Assad. E quando svolti ad angolo retto verso Ovest, cioè a sinistra, cioè in direzione di Aleppo, Raqqa non è più lontanissima: qualcosa più di 40 chilometri.

Intonazione da Touring Club a parte, quella diversione mi è servita a confermare un’idea che ho fin dal primo irrompere dell’Isis e dal suo allargarsi a macchia d’olio tra Siria e Iraq. Mentre conosco fin dal 2002 quella parte di Iraq, l’area di Mosul e la Piana di Niniveh fino a Kirkuk, questa parte di Siria mi mancava. Ed è un deserto piatto, sassoso e rossastro che si estende a perdita d’occhio.

Non era difficile scoprirlo navigando in Rete ma visto con i propri occhi ti dice, anzi ti grida una cosa: è impossibile che le colonne dei miliziani con la bandiera nera potessero e possano tuttora (vedi recente riconquista di Palmira) attraversare decine di chilometri di un terreno come questo senza essere scoperte. Dai satelliti, dagli aerei di ricognizione e persino dai piccioni viaggiatori. Quindi è chiaro che chi svolazzava su quei deserti, per esempio i velivoli della famosa coalizione di 67-Paesi-67 messa insieme da Barack Obama e da re Salman dell’Arabia Saudita, ha preferito chiudere un occhio.

Sono lì che penso a queste cose e mi sento toccare su una spalla. “Mister, mister!”. E’ Ahmed, come scopro di lì a poco, un caporale dell’esercito regolare siriano. Sono in una specie di bar, buio e pieno di gente o strana o armata, lungo la strada che somiglia a quello di Guerre Stellari. Ero assorto e non mi sono accorto che era arrivato un pullman di linea quasi interamente occupato da ragazzi che tornano a casa in licenza. Hanno le facce stravolte di chi da un bel po’ non dorme abbastanza, le divise luride, i kalashnikov in spalla. Sono scesi tutti per sgranchirsi le gambe e bere un tè o una simil-Coca. Ma la prima cosa che fanno, tutti, è telefonare alla mamma per dire: sto arrivando.

Ahmed è un bel tipo. Sulle spalle ha una sacca con la faccia di Che Guevara. “Good fighter!”, dice. Come sempre capita nelle guerre, lui è uno che c’è finito dentro con tutti e due i piedi perché non andava all’università (quindi niente rinvii, anche se ora son diventati più difficili), non aveva genitori importanti (quindi niente raccomandazioni) e neanche un lavoro vero, perché era il tuttofare in un piccolo ristorante col sogno di aprire un negozio tutto suo.

Coi sogni e basta si fa poca strada. La sua l’ha portato nell’esercito. Era tra quelli che hanno dovuto ritirarsi da Palmira, qualche settimana fa, e che dai siriani non simpatizzanti Daesh si stanno sentendo dire di tutto: traditori (l’insulto preferito), vigliacchi, idioti… Lui la spiega così: “Ci hanno fregati perché sono arrivati vestiti con le divise dei soldati russi, le sentinelle li hanno fatti passare e dopo era troppo tardi”. Chissà. Chi mi aiuta a tradurre fa una faccia… E in effetti confondere un medio militante Daesh con un caporale siberiano con gli occhi azzurri sembra un po’ difficile. Però non ho il coraggio di contestare la tesi di Ahmed. Aggrappato alla sacca di Che Guevara vedo solo un ragazzo che ha ancora 50 chilometri di pullman per arrivare a una piccola città persa nel nulla, passare una settimana con la mamma (che ha altri due figli più piccoli che magari finiranno sotto le armi anche loro) e poi tornare chissà dove, a sparare e farsi sparare. Che volete che se ne faccia delle nostre strategie?

 

Fulvio Scaglione, da Aleppo

 

7 gennaio 2017 – occhidellaguerra

VI RACCONTO COME SI VIVEVA AD ALEPPO EST SOTTO I JIHADISTI (Fulvio Scaglione)

#Syria #Aleppo #AleppoLibera #jihadisti –

COSI’ SI VIVEVA AD ALEPPO EST

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– Aleppo, 8 gennaio. Lui accetta di farsi filmare, a scanso di equivoci. Però Mahmud Fahrad non è il suo vero nome e la foto non è la sua. Ha paura di vendette, in questa Aleppo coperta di macerie e dove pochi credono che tutti i jihadisti se ne siano davvero andati a Idlib sui pullman forniti da Assad. Perché questo muratore che ha perso il suo lavoro anni fa e si è dovuto arrangiare com moglie e quattro figli, vuol raccontare come si viveva ad Aleppo Est quando c’era la repubblica dei ribelli e dei jihadisti.

“Siamo rimasti intrappolati lì, dice Mahmud, “dal marzo 2012, quando è cominciato tutto. E sono stati quattro anni di orrore. Per esempio, ci facevano fare la fame. In questi anni non ho mai mangiato carne né frutta, quasi solo lenticchie e burghul (grano spezzato). Anche il pane scarseggiava. E intanto loro godevano di ogni ben di Dio e mangiavano tutto ciò che volevano. Avevano depositi pieni e si facevano beffe di noi: quando c’era qualche festività, macellavano pecore e vacche e poi rivendevano i pezzi di scarto, come gli stinchi o le interiora, a 10 mila lire siriane al chilo, il prezzo della carne migliore. I pezzi buoni, invece, costavano 30 mila lire, cioè dieci volte il prezzo normale. Una volta c’è stata una specie di manifestazione per protestare contro questi prezzi: hanno sparato sulla gente e ucciso quattro persone”.

E gli ospedali? Si dice che l’esercito abbia ucciso parecchie persone, bombardandoli…

“Ospedali bombardati? Forse. Quello che so, però, è che noi aleppini normali non potevamo certo andarci. Erano riservati a loro e alle loro famiglie. Quando qualcuno di noi si faceva male o aveva un problema di salute, lo lasciavano a morire fuori della porta. Non ho mai visto nessuno, in quattro anni, essere ricoverato in un ospedale”.

Ma questi “loro” di cui parla chi erano?

“C’erano tantissimi stranieri, quasi di ogni parte del mondo. Soprattutto dopo che l’esercito ha cominciato ad avvicinarsi. Li riconoscevamo perché, girando per strada o nei mercati, avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse con la lingua. E così sentivamo dire questo è francese, questo è americano, questo è turco… C’erano anche tanti sauditi, egiziani, dei giapponesi. Ma alla fin fine si somigliavano tutti”.

E cioè?

“Guardi che questi non pregano Allah. Pregano il dio dollaro. I diversi gruppi si erano spartiti quella parte di città e per prima cosa cercavano di cavarne la maggior quantità di denaro possibile, sulla pelle della gente indifesa. Ogni tanto si ammazzavano tra loro per questioni di denaro. Un capo si allargava troppo, usciva dalla sua zona? Una bomba sotto la macchina e via. La politica… Forse. Ma questi avevano soprattutto tre passioni. La prima, appunto, i soldi…”.

La seconda?

“Il sesso. Erano come impazziti, anche perché si sentivano onnipotenti. Uno qualunque di questi barbuti poteva farti fuori impunemente, nessuno gli avrebbe detto una parola. Cercavano di procurarsi donne in due modi. Cercavano di comprarle, sfruttando la miseria della gente. Ci sono famiglie che hanno dato via una figlia per cento dollari o addirittura per qualche sacco di riso e di lenticchie. Oppure le portavano via con le minacce, con la violenza. Per esempio minacciando di ammazzare i genitori. Adesso Aleppo Est è piena di “vedove”, per dir così. Donne che hanno dovuto sposarsi a forza con un miliziano che poi è morto o è scappato, donne che adesso nessuno vuole, neppure le famiglie d’origine”.

C’era anche una terza passione…

“Sparare, ammazzare. Prima di partire per un’incursione prendevano delle pasticche che, si sentiva dire, venivano dalla Turchia. Non so che roba fosse, ma dopo averle ingoiate gli si spalancavano gli occhi e diventavano frenetici. Tra loro c’era anche un gran commercio di hashish e altre droghe”.

E la preghiera? L’Islam?

“Ci obbligavano ad andare in moschea ma quella roba lì con la nostra religione c’entrava poco. C’erano predicatori pakistani ed egiziani e l’unica cosa di cui parlavano nei sermoni era la guerra, il jihad, il dovere di combattere gli apostati. Alla fin fine parlavano sempre e solo di ammazzare gente”.

 

Fulvio Scaglione, da Aleppo

 

8 gennaio 2017 – occhidellaguerra

REALE E IRREALE. LA VERA LOTTA POLITICA DEL MOMENTO.

#Media #mainstream #reale #irreale #informazione #disinformazione #FermareIlDelirio #CosaAspettateAdAbbandonareQuestoDisgustosoSpettacolo –

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Tre articoli, altrettanti video di Roberto Quaglia sul tema cruciale dell’anno, nel momento in cui il Re nudo dei media rovescia il tavolo e dice che i nudi siete voi. 

La Politica 2.0 ovvero la lotta di classe fra il Reale e l’Irreale. 

1) I pifferai magici dell’Irreale; 
2) Maccartismo 2.0, ma McCarthy è Mister Bean; 
3) Fermare il delirio: un movimento verso il Reale.

QUI IL SAGGIO COMPLETO in formato PDF.

di Roberto Quaglia.

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  1. I pifferai magici dell’irreale

La prima domanda di oggi è: quanto credete voi di ciò che vedete in televisione?

Probabilmente, non esattamente tutto.

E la seconda domanda di oggi è: quanto credono di ciò che vedono in televisione le persone che voi conoscete? Forse più di voi, ma anche loro probabilmente non tutto. Se avete dei dubbi ponete loro questa stessa domanda: quanto credete di ciò che vedete in televisione? Credo sia ormai difficile trovare una persona che dichiari in buona fede di credere a tutto ciò che vede in televisione. L’idea che alla televisione ci raccontino un sacco di balle è ormai un concetto diffuso. E per inciso, anche per la stampa non è che vada meglio.

Eppure, ci sono diversi gradi di scetticismo rispetto alla visione del mondo che ci propongono i media mainstream. Si va dallo scettico omeopatico, che ha sì qualche piccolo dubbio, ma poi alla fine finisce per credere a tutte le balle essenziali, anzi, i suoi piccoli dubbi rinforzano paradossalmente le sue false credenze, sennò che scettico omeopatico sarebbe – fino al complottista più sfegatato, quello che confonde il non credere a nulla che venga dal maistream con il credere a tutto – purché non venga dal mainstream – un semplice capovolgimento di bias, un’attitudine che porta anch’essa a prendere grandi cantonate.

I cittadini dell’Occidente ormai si dividono principalmente in due: quelli che ormai in merito ai temi che contano non credono più all’informazione maistream e quelli che dicono di nutrire sì qualche dubbio e di non credere proprio a tutto, ma che nell’insieme invece credono ancora al mainstream, anche se devono fare sempre più spesso eccezioni quando si accorgono, ogni volta con un certo stupore, che ciò che viene loro comunicato non è proprio tutto da prendersi come oro colato. Ricordate lo stupore collettivo con cui l’Occidente prese atto che sulle famose armi di distruzione di massa di Saddam tutti i media avevano riportato notizie false? La cosa si ripete e continua a ripetersi ed ogni volta tutti si scoprono eternamente stupiti. Per dovere di cronaca dobbiamo poi anche menzionare una porzione di popolazione che annaspa al di là del credere o non credere – mi riferisco ai famosi “analfabeti funzionali”, quelli che, pur capendo la propria lingua, se però leggono o ascoltano qualcosa, non ne afferrano propriamente il significato. Ragione per cui in genere si limitano a ripetere quello che sentono dire più spesso, senza porsi troppi pensieri o perché. Di loro però adesso baderemo bene di non parlare.

Il dato di fatto importante è che fra la popolazione pensante occidentale, la credibilità dei grandi mezzi di informazione è in caduta libera. E, se posso aggiungere la mia opinione, ciò avviene con buona, anzi, buonissima ragione. Il mondo che i grandi media occidentali raccontano è infatti ormai un mondo del tutto immaginario e quando non è immaginario è irrilevante. La verità viene deformata per piegarla alle ragioni dell’invisibile ideologia occidentale, ed i nodi vengono al pettine quando, come nel caso recente delle elezioni americane oppure del Brexit, i media annaspano così distanti dal mondo del reale da rendersi completamente ridicoli nel momento in cui inevitabilmente finiscono per sbagliarle tutte. Ceffano ogni previsione e poi si rendono ridicoli con le false spiegazioni. Allontanarsi dal reale comporta infatti controindicazioni del genere.

IRAQI INFORMATION MINISTER MOHAMMAD SAID AL-SAHHAF SPEAKS DURING NEWS
CONFERENCE IN BAGHDAD.  I non più giovanissimi fra voi ricorderanno quando, nel 1991, alla fine della Prima Guerra del Golfo, il mitico ministro dell’informazione iracheno del regime di Saddam Hussein, Muhammad Saeed al-Sahhaf, che per tutta la guerra si era esibito in conferenze stampa trionfali, al momento della sconfitta continuava impassibilmente a mentire davanti alle telecamere sul fatto che la situazione fosse perfettamente sotto controllo, mentre in sottofondo si udivano gli spari della battaglia già dentro Bagdad e già si vedevano scene di combattimento in città. Poveretto, era al di là del ridicolo, faceva quasi pena, in seguito il Web lo prese in giro per mesi e mesi con caricature su caricature.

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Oggi però lo stesso fenomeno coinvolge l’intero mainstream informativo occidentale. Non è soltanto il fatto di mentire che fa crollare ogni fiducia e rispetto nei confronti di televisioni, giornali e giornalisti. E’ il fatto di mentire in modo del tutto incoerente, in costante e ripetuta contraddizione con se stessi, affermando tutto ed il contrario di tutto a seconda delle occasioni, negando sistematicamente l’evidenza ed in totale disprezzo di ogni logica, un comportamento da veri e propri disturbati mentali. Il mistero non è come mai metà del pubblico abbia abbandonato con disgusto lo spettacolo, il mistero è cosa stia aspettando l’altra metà del pubblico a fare lo stesso.

L’ultima farsa, in ordine di tempo, è la risoluzione votata dal parlamento europeo, nella quale ci si propone di prendere “provvedimenti” contro la cosiddetta e terribile “guerra russa dell’informazione”, che poi andando bene a guardare si tratta di un singolo canale televisivo che la gente per lo più si guarda su Internet, RT, nota anche come Russia Today, ed una singola agenzia di stampa, Sputnik, anche questa accessibile in Europa solo su Internet. Nessuno si chiede come facciano queste due piccole realtà marginali, peraltro disponibili solo in un paio di lingue, a minacciare il colossale impero di centinaia fra reti televisive e testate giornalistiche occidentali che parlano, anzi, strillano allineati in coro ai cittadini europei, a ciascuno nella sua lingua, da tutti i canali televisivi e da tutte le edicole, col monopolio del 99% degli spazi. Una potenza di fuoco centinaia e centinaia di volte più potente di quella dei russi, ma chissà perché per capire cosa succeda nel mondo oggi sempre più cittadini europei preferiscono informarsi presso le più modeste fonti russe. Chissà perché. I politici e giornalisti occidentali non ce lo spiegano. Chiamano il giornalismo dei russi “propaganda”, ma non sanno spiegare perché esattamente sarebbe propaganda. Cosa intendono poi con “propaganda”? Si riferiscono forse a “informazioni false”? Non ce lo dicono. Anche perché poi magari dovrebbero farci qualche esempio di queste presunte informazioni false. Evidentemente però non sono in grado. Non sostengo che tutto ciò che venga da fonti russe debba essere necessariamente vero – ci mancherebbe altro. Ma se c’è qualcosa di falso, perché non isolare la menzogna ed esporla con tutte le prove e spiegazioni del caso?

Per contro, io invece potrei parlarvi per ore e ore di tutte le singole menzogne vomitate dalla stampa occidentale, dalla nostra stampa, mostrandovele singolarmente una dopo l’altra. E’ così che si espone la propaganda, dissezionandola, analizzandola punto per punto, elencando le bugie, spiegando, dimostrando. E invece che cosa si fa in Occidente? Si lanciano anatemi, si urla istericamente, si minacciano orribili rappresaglie, ma non si spiega mai in cosa in effetti consisterebbe questa presunta propaganda, non si fa mai neppure un esempio di una bugia o di un fatto distorto, niente di niente. Piuttosto, si arriva invece addirittura a paragonare il giornalismo di matrice russa nientedimeno che ai tagliagole dell’ISIS, ai video splatter-propagandistici in cui questa feccia decapita la gente. E questo avviene in una sede istituzionale come il Parlamento Europeo. Vi rendete conto di cosa stanno facendo i vostri rappresentati a Bruxelles? Li avete eletti voi, ragazzi, e adesso questi qua mettono sullo stesso piano giornalisti e terroristi tagliagole. A nome vostro. Complimenti.

Prendete atto del fatto che oltre a starnazzare come oche impazzite “russian propaganda, russian propaganda“, ed accostare rispettabili giornalisti ai tagliatori di teste, questa gentaglia non ha evidentemente altri argomenti.

La realtà è quindi un’altra, e cioè che da un lato le notizie riportate in Europa dalle fonti russe sono solitamente accurate, altrimenti sarebbe facile smontarle, proprio come è facile smontare le notizie false del mainstream occidentale. Ed in secondo luogo che c’è un Occidente che è ormai terrorizzato da qualsiasi opinione che diverga dalla propria monolitica rappresentazione del mondo, proprio come lo era l’Unione Sovietica ai suoi tempi – e tutti abbiamo visto che fine abbia poi fatto l’Unione Sovietica. L’Occidente non è più in grado di sopportare opinioni che si discostino dai propri assiomi.

La delibera del parlamento europeo è soltanto l’ultimo atto censorio, in ordine di tempo, contro il giornalismo non allineato. Pochi mesi fa erano stati chiusi i conti bancari di RT in Inghilterra, senza alcuna spiegazione. Qualche anno fa era stata oscurata la rete iraniana Press TV dai satelliti europei. Si invocano censure ulteriori.

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Quando qualche mese fa feci un’incursione nel parlamento europeo in ottima compagnia trovai dentro al parlamento stesso un manifesto pubblicitario che metteva in guardia nei confronti della propaganda russa.

1 Ecco l’apoteosi del delirio, i lavatori di cervelli colti nel fragrante atto di lavare i loro stessi cervelli in un atto di mistificazione surreale che ha un qualcosa fra lo psicotico ed il masturbatorio.

Un giorno si scriveranno libri su questo nuovo periodo oscuro della politica occidentale ed i nostri posteri guarderanno increduli alle scemenze che oggi compiamo. Questo, beninteso, se sopravvivremo all’infausta destinazione dove questi pifferai magici dell’irreale ci stanno conducendo e se gli ancora troppi lemming che sono tra noi continueranno a seguirli.

Benvenuti quindi nel magico mondo del Maccartismo 2.0. Su cosa fosse il Maccartismo 1.0 ed in cosa differisca il Maccartismo 2.0 ne parleremo alla prossima occasione.

Link primo capitolo: http://roberto.info/it/2016/12/29/pifferai-magici-irreale/#more-1376.

 

  1. Maccartismo 2.0, ma McCarthy è Mister Bean

È ormai un concetto comune che la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. E’ diventato un concetto comune proprio perché il fenomeno continua a verificarsi. Ma ogni volta, chissà perché, la farsa è sempre più farsesca.

Forse non tutti sanno che nei primi anni 50 del ventesimo secolo, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti furono sommersi da una ondata di paranoia anticomunista senza precedenti. Questo fenomeno è oggi noto come “maccartismo”.

Il termine “maccartismo” deriva dal nome del senatore Repubblicano del Wisconsin Joseph McCarthy, il quale conduceva le audizioni dei personaggi sospettati di simpatie comuniste ed antiamericane, interrogatori particolarmente umilianti che ad un certo punto furono pure trasmessi in tivù.

L’ambiente di Hollywood ne fu particolarmente colpito. Più di 330 fra attori, autori e registi finirono sulla lista nera, perdendo così la possibilità di lavorare. Charlie Chaplin fu una delle persone accusate di attività antiamericane, gli revocarono addirittura il visto d’ingresso negli Stati Uniti dopo una visita in Europa. E pure Walt Disney fu chiamato a testimoniare e fu sospettato di comunismo. Ma ve lo immaginate un Walt Disney colpevole di “attività antiamericane”? “Walt Disney l’antiamericano” è l’ossimoro del secolo! Furono indagati anche Orson Welles, il musicista Leonard Bernstein, il fisico dei quanti David Bohm, il padre del progetto Manhattan Oppenheimer, addirittura Albert Einstein, tutti potenziali comunisti ed antiamericani. Ci mancava che indagassero lo stesso presidente degli Stati Uniti. L’isteria durò parecchi anni, prima che si spegnesse. Eleanor Roosevelt, moglie del presidente americano ebbe a dire a proposito: «È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo Paese abbia mai avuto.»

Oggi il termine “maccartismo” ha una connotazione di accusa falsa e isterica, e d’attacco governativo alle minoranze politiche. Nessuno riesce oggi ad immaginarsi che un fenomeno tanto assurdo e delirante possa ripetersi. Nessuno riesce ad immaginarselo proprio mentre contemporaneamente il fenomeno si è ripresentato, con la russofobia isterica che in Occidente monta ogni giorno di più.

Julian Assange recentemente lo ha chiamato neo-maccartismo, io preferisco chiamarlo maccartismo 2.0, così da poterlo meglio distinguere dal maccartismo 3.0 che prima o poi ci toccherà.

Ciò che rende il maccartismo 2.0 particolarmente farsesco è che le stesse persone che lo fomentano sono probabilmente quelle che più di altri sostengono o sosterrebbero che un fenomeno assurdo come il maccartismo non potrebbe più verificarsi. Mica male, eh: fomentare un fenomeno mentre neghi che esso possa riaccadere. E magari anche in buona fede – il che, vorrei azzardare, è un’aggravante. Probabilmente, costoro capirebbero di trovarsi in una ondata di maccartismo solo se la campagna fosse ufficialmente inaugurata da qualcuno che si chiamasse anche lui McCarthy. Sono un po’ come quelli che ti mettono in guardia contro il fascismo, ma essi stessi sono in grado di riconoscere il fascismo solo se si ripresenta con gli stessi esatti costumi dell’epoca. Togli ai fascisti la divisa e sostituiscila con un doppiopetto e già questi intelligentoni non solo non capiscono più nulla, ma danno tutto il loro sostegno ai nuovi fascisti, che senza uniforme essi non sanno proprio riconoscere.

Se, come detto, nel Maccartismo 1.0 ci mancava solo che arrivassero ad accusare anche il Presidente degli Stati Uniti, nel Maccartismo 2.0 si è ovviato a questa mancanza. Come Hollywood ci insegna, i sequel devono esagerare negli effetti speciali per riuscire a stupire, e allora nel Maccartismo 2.0 si dipinge lo stesso neoeletto Presidente Trump come un burattino di Putin. Ma vi rendete conto?

Un altro aspetto umoristico di questo Maccartismo 2.0 è che i grandi imputati dai nuovi cacciatori di streghe, RT, cioè Russia Today e l’agenzia giornalista Sputnik, hanno nelle loro redazioni occidentali degli staff più o meno interamente occidentali. Chiunque abbia guardato RT avrà notato che si tratta di giornalisti di grande esperienza e capacità. Il famoso Larry King Show, uno dei più longevi talk show negli Stati Uniti, si è spostato dalla CNN a RT. Immaginare ora che tutti questi abili professionisti siano o spie russe oppure giornalisti venduti alla propaganda di Putin è non solo paranoico, ma pure del tutto stupido. Un giornalista televisivo di provata abilità e carisma se vuole non ha alcuna difficoltà a trovare felice collocazione nel giornalismo mainstream, dove peraltro non rischia il linciaggio delle cacce alle streghe.

1 Piuttosto, è proprio dal mainstream che saltano fuori gli scandali. Come quando il giornalista tedesco Udo Ulfkotte, per anni editore nella Frankfurter Allgemeine Zeitung, in preda a pentimento ha fatto outing confessando in pubblico di essere stato a lungo foraggiato dalla CIA per promuovere una linea atlantista, e che molti suoi colleghi sono altrettanto compromessi e corrotti. Ulfkotte ha scritto anche un libro sul tema: Giornalisti venduti (“Gekaufte Journalisten“). Curioso come di fronte ad un caso provato di propaganda – abbiamo addirittura il reo confesso, cosa volete di più – nessuno in Occidente si dia all’isteria, o anche solo all’inquietudine, ma piuttosto a riguardo regni il silenzio più totale. L’espressione ‘due pesi due misure’ qui è decisamente un diminutivo.

La caccia alle streghe del Maccartismo 2.0 ha subito un’accelerazione quando il Washington Post ha pubblicato un forte articolo nel quale ha accusato la “propaganda russa” di avere diffuso notizie false durante la campagna elettorale americana che avrebbero aiutato Trump a battere la Clinton. Accusare la Russia di essere in grado di modificare l’esito delle elezioni presidenziali americane è cosa ben ben tosta – nemmeno McCarthy a suo tempo aveva osato tanto. Il Washington Post rimanda anche a PropOrNot, un sito web registrato pochi mesi fa da americani che dicono di voler combattere la propaganda russa e che chissà perché vogliono rimanere anonimi. PropOrNot elenca anche una lista di 200 siti di propaganda russa che comprende praticamente tutti i siti alternativi di informazione americani. Dal che dobbiamo dedurne che chiunque non sia allineato al mainstream negli Stati Uniti è al servizio, consapevole o inconsapevole, dei russi, e questo per rivelazione di un gruppo anonimo senza credenziali a cui però il Washington Post riconosce invece ogni credito. Accipicchia! E poi saremmo noi i complottisti!

Quest’articolo orwelliano del Washington Post ha scatenato una tale tempesta di critiche, proteste, sfottò da parte del mondo dell’informazione indipendente, ed anche una minaccia di denuncia per diffamazione, che il Washington Post ha in seguito dovuto fare retromarcia e dichiarare in una nota che essi non possono garantire per la attendibilità del sito PropOrNot che essi avevano appena citato come attendibile. Insomma, si sono immediatamente squalificati da soli, e chiunque abbia occhi per vedere capirà subito da che parte si pubblicano le informazioni false.

“Fake news”, notizie false è l’espressione chiave, il nuovo mantra con cui in Occidente il mainstream cerca di squalificare l’informazione non allineata. La precedente parola magica, “complottista”, ha perso efficacia, la nuova parola d’ordine è “fake news” e che si tratti di una parola d’ordine è evidente dalla velocità con cui si è propagata per tutto il mainstream.

L’aspetto affascinante è che l’accusa di diffondere notizie false è esattamente quella che il mondo nuovo che si è creato attorno ai circuiti dell’informazione non allineata, cioè noi, da tempo rivolge al mainstream, anche se fino ad ora senza utilizzare un’etichetta univoca di grande impatto come l’espressione “fake news”. Di fronte alla montante marea di queste accuse il mainstream è giunto alla brillante idea di ribaltare le cose, rimandando l’accusa al mittente, ma con due sostanziali differenze: innanzitutto un’etichetta, un “brand” di grande efficacia comunicativa – “fake news” – ed in secondo luogo la totale assenza di argomentazioni a sostegno delle accuse. Il risultato comico è che i media indipendenti non ci hanno impiegato molto a ribaltare la frittata a loro volta ed adottare il “brand” creato per denigrarli – “fake news”, contro il mainstream stesso. Ma in questo caso con tutte le argomentazioni del caso a sostegno delle accuse. Di fronte a questo ennesimo pasticcio ed autogol il mainstream, in un articolo apparso sul New York Times, si è esibito in un capolavoro dell’assurdo, ovvero la falsificazione della stessa storia di come l’etichetta “fake news” è assunta a “brand” in questa guerra dell’informazione, sostenendo – falsamente – che sia avvenuto ad opera dei perfidi media indipendenti e dei conservatori americani. Un esemplare caso di “fake news” al quadrato, quindi.

Abbiamo quindi oggi due mondi contrapposti, ognuno dei quali sostiene che le notizie veicolate dall’altro sono false. Pari e patta? Stessa cosa a ruoli invertiti? Ma nemmeno per sogno. Quando i giornalisti non allineati smascherano le notizie false mainstream di solito lo fanno mettendo puntigliosamente sul piatto le prove delle falsificazioni. Ma lo stesso raramente accade in direzione contraria. Il maistream si limita a dichiarare falsa l’informazione non allineata in virtù di un dogma, per verità rivelata, per decreto imperiale, per proprio arbitrio incontestabile, in cui l’unico argomento a sostegno è la propria presunta autorità. Se non ci credete fate qualche ricerca voi stessi.

Se durante il Maccartismo 1.0 McCarthy aveva gioco facile, perché non essendoci ancora internet l’informazione non allineata era ben poca cosa, nel Maccartismo 2.0 i nuovi cacciatori di streghe non fanno in tempo a dire una cazzata che milioni di booohh-booohhh si levano in rete a ridicolizzarli – e scopriamo così che nel Maccartismo 2.0 McCarthy è in effetti Mister Bean. 1

Se ai tempi del Maccartismo 1.0 la gente aveva la scusa della mancanza di informazioni alternative rispetto a quelle del mainstream cacciatore di streghe, oggi questa scusa non c’è più, dato che esiste internet e ci sono circuiti di informazione indipendente. Questo fa sì che per poter stare in piedi il Maccartismo 2.0 deve fare leva su livelli di stupidità senza precedenti, poiché per dargli retta oltre ad essere ciechi alle leggi della logica bisogna anche essere ciechi all’evidenza dei fatti stessi, visto che i fatti sono oggi a disposizione dell’analisi di chiunque voglia davvero informarsi.

E questo ci riporta a quanto io dico ormai da tempo, che l’Occidente è ormai irreversibilmente diviso in due veri e propri mondi separati, che anche se condividono gli stessi spazi vivono in realtà separate, e ognuno di questi due mondi considera l’altro una trappola di irrealtà. Il mondo rappresentato dal mainstream è in crisi di fede – e questo spiega l’isteria del mainstream nei confronti della montante marea di “eretici”, mentre il secondo mondo, il mondo di quelli che hanno perso fiducia nella narrativa mainstream, nei telegiornali, nella grande stampa, è in crisi di rappresentanza. Insomma, esistono, sono milioni di persone, hanno iniziato a pensare con la propria testa, diventano sempre di più, ma ancora non godono di una adeguata rappresentanza politica. È un aspetto interessante ed importante, del quale parleremo la prossima volta.

Link secondo capitolo: http://roberto.info/it/2016/12/30/maccartismo-2-0-mccarthy-mister-bean/#more-1389.

 

  1. Fermare il delirio – un movimento verso il reale

All’indomani della vittoria di Trump alle elezioni presidenziali americane, Gianluigi Paragone condusse una puntata de La Gabbia Open dove fra gli altri si fronteggiavano Giulietto Chiesa e Marcello Foa, due giornalisti molto diversi fra loro, con origini e storie radicalmente differenti, due tradizioni politiche antitetiche alle spalle, insomma, due persone che secondo la logica in cui siamo cresciuti avrebbero dovuto dissentire su praticamente tutto.

Invece, analizzando non solo l’esito delle elezioni americane, ma l’intero panorama politico internazionale contemporaneo, la visione di Chiesa e Foa concordava in modo sorprendente. In modo sorprendente, secondo il modo vecchio di intendere la politica, ma in modo per nulla sorprendente secondo il paradigma della Politica 2.0.

La politica a cui siamo abituati, che potremmo chiamare la Politica 1.0, è ormai finita. Era la politica di ideologie che non ci sono più, in una società fatta di persone con identità di gruppo che stanno scomparendo, collocata in un mondo senza internet che non c’è più nel quale la realtà condivisa generata dai media era incontestabile, cosa che grazie ad internet non è più.

Naturalmente, la Politica 1.0 ha la sua buona dose di inerzia e nelle convulsioni della sua agonia causerà sconquassi anche importanti. Naturalmente non sappiamo come si evolverà la Politica 2.0. Non abbiamo la sfera di cristallo. Ma possiamo fare delle ipotesi.

Quasi certamente la Politica 2.0 avrà due facce.

Nella sua manifestazione utopica la sua forza di trazione verrà dalla forza aggregante della rete. Soprattutto, essa non potrà prescindere dalla realtà, per lo meno non troppo, non certo nella misura incredibile in cui dalla realtà oggi prescinde la Politica 1.0.

Nella sua manifestazione distopica la Politica 2.0 sarà invece un impietoso meccanismo quasi-deterministico, in grado di utilizzare Big Data per formulare immagini psicometriche di ciascuno di noi che permetteranno di colpirci con un marketing politico personalizzato in grado di sedurci a colpo sicuro. In altre parole, l’ultima frontiera del populismo, le promesse (che non verranno mantenute) personalizzate cittadino per cittadino. Di questo aspetto della politica 2.0 però oggi non parlerò. Non mettiamo troppa carne al fuoco.

Ho illustrato in un paio di miei precedenti interventi la deriva verso l’irreale intrapresa dal mainstream politico-giornalistico occidentale negli ultimi anni. E’ il canto del cigno della Politica 1.0. False rappresentazioni del mondo e di quello che succede che hanno causato un vero e proprio scisma della percezione del mondo delle popolazioni occidentali.

Bisogna rendersi conto che l’entità del cambiamento in atto rivaleggia per portata con quella del crollo del sistema sovietico. E’ una intera visione del mondo quella che si sta rapidamente disfacendo in Occidente, ed il pubblico occidentale per lo più si divide in due.

C’è chi si tiene stretto il paraocchi e sperando di conservare un quieto vivere segue il pifferaio magico del mainstream nella sua disastrosa avventura verso l’irreale, nel mondo delle bugie dove il vero e il falso vengono sistematicamente ribaltati, e c’è invece chi del paraocchi si è liberato, chi si è svegliato o si sta svegliando dal sonno della ragione e finalmente accetta l’onere scomodo di vivere nello poco confortabile mondo del reale e di confrontarsi criticamente con i miti ed i mostri che il mainstream fa danzare davanti ai suoi occhi. Mi riferisco a quei mostri illusori creati ad arte per terrorizzarci così che poi imploriamo protezione: la finta minaccia russa, la finta oppure artefatta minaccia terroristica – tutti meccanismi descritti mirabilmente nel documentario della BBC The Power of Nightmares, realizzato da Adam Curtis nel 2004, forse il canto del cigno della vecchia BBC dai grandi contenuti. Sebbene su alcuni temi il film sia reticente, è tuttavia assai istruttivo e ne consiglio a tutti la visione. Lo trovate in rete.

Cosa vuol dire che una percentuale così elevata ed in costante crescita dei cittadini in Occidente, non solo non si sente più in alcun modo rappresentata dalle forze politiche esistenti, ma si sta ormai emancipando dal mondo illusorio di bugie costruito ad arte dai media?

Vuol dire molte cose, ma quella che ci interessa qui è che si è aperto un nuovo, immenso spazio politico più o meno disabitato. Nessuno ancora bene rappresenta questa crescente massa di cittadini che ha compreso gli inganni della narrativa mainstream e con essa ha quindi per sempre rotto i rapporti.

E’ un vero e proprio movimento, anche se nessuno per ora lo ha ben definito. I guardiani dello status quo esorcizzano questo movimento apostrofando “complottisti” tutti quelli che anche solo di sfuggita ne facciano parte o anche solo vi si avvicinino. Essere “In odore di complottismo”, ecco il Mondo Nuovo dove ricompare il concetto di eresia, travestito.

Basta sconfinare dal perimetro del Pensiero Unico mainstream in disfacimento per venire connotati col vocabolo magico della neolingua, l’epiteto di scomunica moderna: “complottista”.

Ecco allora per il Pensiero Unico i complottisti conclamati, i complottisti sfegatati, i complottisti deliranti, ma anche i complottisti moderati, e soprattutto le persone “normali” con solo qualche sporadica tentazione “complottista” ogni tanto.

Avete mai iniziato un discorso con le parole “non sono un complottista, ma.” – bravi! Bravi! Complimenti per l’excusatio non petita – paura di venire bollati con il marchio dei nuovi paria, eh!?

E più la realtà illusoria mainstream si sfalda, più i guardiani dello status quo disperatamente estendono l’epiteto magico di scomunica “complottista” a porzioni intere di cittadinanza, articoli pseudoscientifici, in realtà farneticanti, vengono pubblicati su importanti testate ove si cerca di mettere in dubbio la sanità mentale di chiunque smetta di credere ai loro miti artefatti e alla loro realtà fittizia. Il modello è quello di rinchiudere i dissidenti in manicomio, proprio come nell’Unione Sovietica, e se ora non lo si può fare materialmente, lo si fa idealmente, simbolicamente. Ma c’è un problema. In Occidente, i dissidenti, cioè coloro che non credono più alle danze ipnotiche allestite dai burattinai, ai miti smerciati come fatti veri, agli attentati false flag spacciati per attacchi di un nemico che non esiste, crescono a velocità impressionante. Quindici anni fa eravamo quattro gatti, oggi siamo milioni. Siamo una percentuale significativa della popolazione. La parola magica di scomunica “complottista” funziona sempre di meno e allora ecco che l’establishment disperatamente cerca di coniare nuove parole magiche. Faked news – è una delle ultime trovate – notizie false, tutto ciò che non è la verità rivelata dai loro media d’ora in poi sono “notizie false” – per definizione. Se una cosa non è detta da loro, non esiste, è falsa. E magari anche inventata da Putin. A chiunque abbia ancora anche solo due neuroni funzionanti colpirà l’entità del delirio. D’altra parte la storia dell’umanità è costellata di deliri eclatanti, quindi nulla di nuovo sotto il sole, ma la stessa storia ci insegna che ogni delirio prima o poi porta a schiantarsi contro il muro della realtà.

La Politica 2.0 non si gioca quindi più nel ristretto teatro delle ideologie a confronto, ma nel più ampio teatro delle realtà in competizione. Lo scontro non è più fra diverse interpretazioni della realtà, ma fra diverse percezioni del reale.

Siamo un gradino più in alto – ma che gradino!

Nella politica 2.0 il dissidente non è più chi considera sbagliato il modello politico vigente, ma chi considera irreale la rappresentazione del mondo del mainstream.

Il dissidente 2.0 ha le vesti dell’antico eretico e questo spiega perché il mainstream, anziché provare a controbattere alle istanze che esso presenta, preferisce bollarlo come “matto”.

Il fatto è però che questi cosiddetti “matti”, chiamateli complottisti, chiamateli dissidenti, scegliete pure l’etichetta che preferite, sono sempre di più. Noi siamo sempre di più. Siamo così tanti da costituire ormai uno spazio politico.

Siamo quindi un nuovo spazio politico, uno spazio composto da milioni di cittadini evasi dalla grande menzogna generale, siamo persone anche molto diverse fra di noi, fra noi c’è gente che si sente di sinistra, c’è gente che si sente di destra, di centro oppure appartenenti ad altre tribù ancora, ma in comune abbiamo la cosa più importante: ci siamo svegliati dal sonno della ragione e non crediamo più alla Grande Menzogna in cui sta sprofondando l’Occidente e a tutte le piccole, talvolta ignobili, talvolta ridicole menzogne che fanno da condimento alla portata principale. Seppure con idee e convinzioni diverse – ci ritroviamo tutti in una nuova realtà. Un nuovo spazio politico che però non è ancora un soggetto politico, ed è quindi logicamente del tutto privo di rappresentanza.

E allora cosa facciamo in questo nuovo spazio, in questa nuova realtà?

C’è chi parla, c’è chi scrive, c’è chi informa, ma soprattutto: ci lamentiamo tutti. La lamentela è un comune denominatore. Ma che cosa vuol dire: lamentarsi? Nel nostro caso, vuol dire sperare ed auspicare che qualcuno faccia le politiche che ci paiono più appropriate e rammaricarci passivamente del fatto che esse non vengano fatte, senza però assumere nessuna iniziativa concreta affinché i nostri desideri divengano realtà. Come si capirà, non è esattamente il massimo. Ma allora perché, invece di lamentarci, che non serve a niente e non cambia nulla, non facciamo qualcosa? O se già facciamo qualcosa, non ci rimbocchiamo le maniche e non facciamo di più?

E non mi riferisco – badate bene – al litigare, che qui sembra il passatempo preferito di tutti. Uno non fa in tempo a liberarsi dalla palude delle menzogne mainstream, e si ritrova subito invischiato in mille litigi con gli altri “liberati”, bisticci su cosa sia vero e cosa sia falso, su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e chi più ne ha più ne metta. Grande! In pratica un divide et impera fai da te, cioè noi ci dividiamo e loro imperano alla facciaccia nostra. Ma come siamo intelligenti, accipicchia.

Se invece focalizzassimo le nostre energie sulle grandi cose che ci uniscono, anziché sulle piccole cose che ci dividono, magari riusciremmo anche a combinare qualcosa.

Insomma, venendo al nocciolo, o prendiamo qualche iniziativa oppure la smettiamo di lamentarci, che è un comportamento poco dignitoso.

Che ci piaccia o no noi siamo un movimento, un movimento verso il reale, contro il delirio del mainstream e verso il reale, perché ci siamo mossi e continuiamo a muoverci in direzione del reale, e siamo già in milioni ed il nostro numero continua a crescere. Certo, fra di noi c’è anche gente fuori di testa, ma qualche scompenso è fisiologico quando ti devi confrontare col dato di fatto che tutti i tuoi punti di riferimento precedenti – il tuo telegiornale preferito, i giornali che hai sfogliato per anni, tutti ti hanno sempre preso in giro, ti hanno mentito e adesso che lo sai non valgono più. E’ un trauma che crea incertezza e confusione. Ci vuole un po’ di elasticità e comprensione.

Possiamo anche continuare a far finta di credere che questo movimento, che c’è ed è innegabile, non sia un movimento politico, ma per quanto tempo ancora?

Meglio piuttosto darsi una svegliata e comprendere che la Politica 2.0 è veramente diversa da quella a cui siamo da sempre abituati, e molte delle sue proprietà ci sono tuttora ignote, sono proprietà emergenti, come dice il bardo “le scopriremo solo vivendo”.

Diamo ancora un’occhiata al vecchio mondo in disfacimento della Politica 1.0:

La finta sinistra, la finta destra ed il finto centro – forse lo avrete notato – sono tutti uniti e compatti verso gli eretici, che saremmo noi, per il semplice fatto che non ci beviamo più le loro storielle e rappresentazioni.

Però noi invece siamo tutti divisi. Loro sono uniti, noi siamo divisi in mille conventicole.

Ed è qui che ci rendiamo conto che il vero scontro politico oggi non ha più nulla a che vedere con le categorie della destra e della sinistra e degli antichi schieramenti. Oggi il confronto è fra veri e propri mondi differenti, non più fra diverse interpretazioni della realtà, bensì fra vere e proprie diverse percezioni della realtà.

Le categorie classiche della politica – per esempio l’approccio socialista contro l’approccio liberista e viceversa, sono surclassate dalle emergenti categorie di ordine superiore – il vero contro il falso, il reale contro l’irreale – e viceversa! Non è più una battaglia di opinioni, ma una battaglia di percezioni!

Chiariamo bene a scanso di equivoci: le differenze che separano le persone che si sentono di sinistra da quelle si sentono di destra esistono davvero ed esisteranno sempre, e sono differenze di mentalità, di attitudine alla vita e alla società, differenze culturali, intellettuali, di estrazione sociale, di tradizioni familiari, di convenienza, in altre parole differenze antropologiche che riflettono un dualismo e queste differenze le ritroviamo in ogni luogo del mondo e non se ne andranno mai via. Si tratta però di differenze di interpretazione a partire da una stessa realtà percepita. Ma la vera emergente divisione nel mondo occidentale oggi è fra chi vive nel mondo creato dai media mainstream e chi da esso si è emancipato e non ci vive più.

Ed è per questo che oggi possiamo avere, come ho menzionato all’inizio per fare un esempio, due giornalisti così diversi fra loro come Giulietto Chiesa e Marcello Foa dalla stessa parte della barricata, e in America possiamo avere un Paul Craig Roberts, ex membro del governo di Ronald Reagan, sullo stesso fronte di un Michel Chossudovsky professore universitario canadese di tutt’altra estrazione e direttore del sito Globalresearch. Nella Politica 2.0 la logica degli schieramenti è cambiata, ha fatto un salto di qualità, e prima lo capiremo tutti e meglio sarà.

Evito di includere i 5stelle in questo ragionamento, poiché essi costituiscono un’altra realtà più complessa e da movimento stanno ormai mutando in partito e si preparano a governare, e ancora non sappiamo come. Il movimento verso il reale che osservo e di cui parlo si sovrappone in certe sue aree con il popolo dei 5stelle, ovvero con parti della sua base, ma certamente non in altre. Il fenomeno 5stelle si è certamente alimentato dall’esistenza di questo movimento, così come in altri paesi il partito dei pirati ed altre formazioni antisistema.

Probabilmente l’iniziativa di dare un contorno ed un’identità unitaria a questo grande movimento che già esiste dovrebbe partire da tutti quelli che veicolano informazione in modo indipendente, visto che questo grande scisma in seno alla società occidentale è tutto sommato generato da loro, dalla libera circolazione di informazione non allineata. Chiunque lavorasse a questo progetto dovrebbe comprendere che affinché il movimento possa riconoscersi nella definizione che di esso si dovesse dare, è necessario che si proceda con la massima lucidità, il che significa definendo il movimento esclusivamente per il minimo comune denominatore che unisce tutti quelli che ne fanno parte, in altre parole per il fatto stesso ed esclusivo di essere evasi dal mondo illusorio dipinto dal mainstream con le sue menzogne. Sembra poco, ma è in realtà moltissimo. Parliamo di due mondi completamente diversi. Se invece ognuno vorrà proiettare sul movimento tutte le proprie istanze personali, di retaggio ideologico, morale, di costume o quant’altro, il progetto è destinato a fallimento immediato. Il divide et impera fai da te non è una buona idea. Politicamente, si chiama suicidio.

Il movimento – quello che esiste, che già c’è, ma non si è ancora visto allo specchio, non si è battezzato, non si è ancora visto come una possibile unità – è un movimento transpartitico, transideologico e transnazionale. Di tutto ciò si dovrà tenere conto.

Non posso predire quale potrebbe essere una destinazione o una finalità chiara di questo movimento, anche perché sarà il movimento stesso a stabilirle, ammesso e non concesso che si capaciti del fatto di essere un movimento – che il movimento in altre parole prenda coscienza di sé. Possiamo però cercare di innescare questa presa di coscienza e questa aggregazione, di favorirla ed eventualmente di accompagnarla fino a quando non saprà stare sulle sue sole gambe. Fondamentale è prendere atto che il movimento esiste, utile e importante è dargli una mano a definirsi per ciò che esso è e nulla di più. Anche la definizione sarà un work in progress.

Né posso predire quale nome vorrà assumere questo movimento, provvisoriamente mi piace chiamarlo un po’ scherzosamente “fermare il delirio”, facendo il verso ad una effimera comparsata politica di qualche tempo fa in Italia. Ciò che importa comprendere è che si tratta di un movimento verso il reale. Ritengo sia tempo di fare qualcosa di concreto per fermare il delirio mainstream, prima che questo ci conduca a tragedia certa.

E scusatemi se non ho parlato a voi come a bambini della terza media. Mi dicono che sia ormai l’unico modo efficace di fare politica, come d’altra parte aveva sentenziato già a suo tempo Gustave le Bon. Perdonatemi, nessuno è perfetto.

Iniziamo allora a tratteggiare i contorni dello spazio politico che si è creato intorno a noi e proviamo a contarci. Forse siamo ancora in di più di quanti crediamo.

Si cita spesso la frase di Orwell che in tempi di inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario, magari se questa frase proviamo a pronunciarla tutti insieme, anziché gli uni contro gli altri, l’efficienza rivoluzionaria ne guadagna.

Link terzo articolo: http://roberto.info/it/2016/12/31/fermare-il-delirio-un-movimento-verso-il-reale/#more-1398.

 

1 Gennaio 2017 – megachip.globalist

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